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Comitato Nazionale per la Bioetica - Parere in materia di Suicidio Medicalmente Assistito
Anno 2019

Il CNB ha adottato un parere riguardante il suicidio medicalmente assistito, raccogliendo al proprio interno diversi orientamenti sulle implicazioni etico-giuridiche della legittimazione dell'accesso alla pratica.

Il parere si inserisce nella complessa questione sulla conformità costituzionale dell'art. 580 c.p. , in attesa della sentenza della Consulta, nella parte in cui questo vieti condotte volte ad assistere il suicidio di un soggetto consapevole, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, nel caso di grave ed irreversibile patologia che sia fonte di sofferenza fisica o psicologica, così come anticipato nell’ordinanza n. 207/2018.

Il tema centrale è il complicato rapporto fra l'esigenza di salvaguardia della vita umana, quale bene da tutelare anche contro la volontà del soggetto malato, e il suo diritto all’autodeterminazione. Viene innanzitutto chiarita la distinzione etico-giuridica tra eutanasia c.d. “attiva”, in cui v’è un ruolo attivo del terzo/medico nel cagionare la morte (reato rubricato "omicidio del consenziente" ex art. 579 c.p. ) e assistenza al suicidio, ove invece un terzo/medico fornisca ausilio a colui che, da sè, cagiona la propria morte in modo volontario (reato rubricato: "assistenza al suicidio ex art. 580 c.p. ).

Il CNB si discosta nettamente dalla sollecitazione operata dalla Consulta nell’ordinanza n. 207/2018, ovvero di inserire la disciplina del suicidio assistito «nel contesto della legge n. 219/2017   e del suo spirito» (Legge sul consenso informato e interruzione dei trattamenti anche vitali). In questo modo infatti il suicidio assistito verrebbe equiparato al diritto di domandare l’interruzione dei trattamenti (32.2 Cost.), che ha come fondamento unico ed esclusivo la volontà del soggetto, così come regolamentato dalla suddetta l. n. 219/2017 . Il CNB ricorda invece come esista una «netta differenza di fatto» tra le due pratiche e che il suicidio assistito presenti problemi etico-giuridici diversi ed ulteriori rispetto alla semplice autodeterminazione e volontà del soggetto.

Nel documento, il Comitato affronta anche il tema dei doveri deontologici del medico, distinguendo tra chi da un lato ritiene che «escludere l'assistenza al suicidio consente al medico di conservare il significato etico-deontologico della propria professione» (pt. 4.2) e chi dall’altro afferma che quest'ultimo possa dare adeguato peso alla decisione del proprio paziente ed assisterlo nella pratica di suicidio. Secondo quest’ultima lettura, il medico risponderebbe ad un precisa istanza etica, in considerazione della sua posizione “privilegiata” nei confronti delle intime volontà del paziente. Sotto questo profilo, il CNB sottolinea l'importanza di un esercizio sostenibile dell'obiezione di coscienza di medici e operatori sanitari che, in casi particolari o anche in generale, non intendano eseguire la pratica, in modo che si attui un equo bilanciamento tra le istanze morali degli obiettori e i diritti dei pazienti che intendano accedere alla pratica.

Il parere si occupa poi dell’argomento della c.d. "china scivolosa” (slippery slope), ovvero del fatto che una eventuale apertura legislativa alla tecnica porterebbe di necessità ad abusi. Da questa posizione si discostano coloro che ritengono questo sia un argomento di pura retorica e che il fenomeno possa essere adeguatamente controllato prevedendo limiti determinati. Viene affermato all’unanimità come nel nostro paese esista una necessità di erogare le cure palliative in modo omogeneo sul territorio, dando così effettiva attuazione alle prescrizioni della l. n. 38/2010. Queste statisticamente hanno l’effetto di ridurre le domande di accesso alla pratica ma soprattutto, ove adeguatamente offerte, rendono la scelta del soggetto realmente libera e ponderata.

In conclusione, vengono delineate nel parere tre posizioni che riassumono efficacemente ciò che è emerso dal dibattito: 1) la prima, sostenuta da chi ritiene che una eventuale legittimazione della pratica comporterebbe una "trasformazione inaccettabile" del ruolo del medico e degli istituti sanitari in generale; 2) la seconda, sostenuta da chi considera l'apertura a tale tecnica una declinazione del principio personalista e di autodeterminazione tutelato dalla Costituzione; 3) e infine la terza, sostenuta da chi invece si pone in una posizione intermedia, adottando un approccio “cautelare”, non considerando la pratica come un vero e proprio suicidio quanto più un liberarsi da un corpo diventato una "prigione", sottolineando i rischi di slippery slope e l'importanza delle terapie del dolore.

Il testo del documento è disponibile al link  e nel box download.

Enrico Matano
Pubblicato il: Giovedì, 18 Luglio 2019 - Ultima modifica: Venerdì, 25 Ottobre 2019
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