La Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato dal Governo italiano per chiedere il riesame della sentenza della stessa corte del 28 agosto 2012 che aveva dichiarato che il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto imposto alle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili dalla legge 40/2004 contrasta con l'articolo 8 della CEDU.
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: respinto il ricorso del Governo italiano contro la sentenza Costa-Pavan
Anno 2013
In breve i motivi del ricorso presentato dal Governo:
A. mancato rispetto del requisito del previo esaurimento delle vie di ricorso interne;
B. la II sezione avrebbe ecceduto la propria competenza, andando a sindacare la coerenza interna del diritto italiano («Ce faisant, elle a agi en dehors de ses compétences, comme une quatrième instance car c’est à la Cour Constitutionnelle italienne qu’il appartient d’apprécier de la compatibilité interne des différentes lois, et au législateur national de les changer le cas échéant»);
C. con la sentenza, la Corte avrebbe modificato il contenuto del ricorso presentato dalle parti: la domanda presentata dai ricorrenti avrebbe infatti riguardato la compatibilità del divieto di diagnosi genetica preimpanto, «prise isolément», con l'art. 8 della CEDU, mentre la Corte si sarebbe espressa sulla mancanza di proporzionalità di tale divieto alla luce del complesso del sistema normativo italiano, impedendo al governo di motivare adeguatamente la difesa della legge;
D. imprecisione relativa al diritto invocato dai ricorrenti. La seconda sezione non avrebbe precisato per quali ragioni e in quale misura il diritto invocato dai ricorrenti sarebbe protetto dalla Covenzione, limitandosi ad affermare che «le désir des requérants d’engendrer un enfant sain et de recourir pour cette fin au DPI constitue une expression de la vie privée et familiale». Con riferimento anche al caso Evans, il governo afferma che «la Convention ne contient pas un droit autonome des couples à procréer, mais seulement un droit à ne pas être empêché par l’Etat d’essayer de procréer, dans les limites de la légalité. Quant au droit au respect de la vie familiale, la Convention "ne protège pas le simple désir de fonder une famille"»;
E. creazione di un nuovo obbligo di coerenza del diritto interno: nel ritenere che due previsioni (la legittimità dell'aborto e il divieto della diagnosi genetica preimpianto) – che singolarmente considerate non sono contrarie alla Convenzione – possano concretizzare una violazione della CEDU, se considerate in rapporto l'una con l'altra, la sentenza è intervenuta sul terreno delle scelte legislative, sostituendosi non solo al giudice nazionale, ma anche la legislatore. La pretesa coerenza non sarebbe valutata in relazione alla Convenzione ma al ibero apprezzamento di un giudice (paradossalmente «un droit qui interdit l’IMG et le DPI est tout autant cohérent qu’un droit qui les autorise»);
F. coerenza dell'ordinamento italiano: la Corte avrebbe errato nel mettere a confronto un principio (quello del divieto di diagnosi genetica preimpianto) con un'eccezione (l'ammissibilità condizionata dell'aborto). L'ammissibilità dell'aborto costiuirebbe, non un diritto, quanto piuttosto una deroga al generale principio della tutela del concepito. E' dunque chiaro, nella ricostruzione del Governo, che «l’interdiction de principe de l’atteinte à la vie prénatale est parfaitement cohérente avec celle du DPI; et l’existence d’une dérogation ne suffit pas à ruiner la cohérence de l’ensemble»;
G. Mancato rispetto del margine di apprezzamento dello Stato. Pur avendo riconosciuto l'esistenza del principio secondo il quale gli stati nazionali godono di un ampio margine di apprezzamento ni casi relativi alla bioetica, «la deuxième Section a décidé de ne pas appliquer ce principe dans le cas d’espèce, tout en ayant confirmé et reconnu que "la question de l’accès au DPI suscite de délicates interrogations d’ordre moral et éthique”».
In allegato il testo completo del ricorso.