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Belgio – Cour constitutionnelle – Arrêt 99/2019: illegittima la legge sulla rettificazione di attribuzione di sesso nel punto in cui non permette il riconoscimento giuridico delle identità di genere non binarie e fluide
19 giugno 2019

Con sentenza n. 99 del 19 giugno 2019, la Cour constitutionnelle belga ha accolto il ricorso in annullamento presentato da alcune associazioni impegnate nella tutela dei diritti delle persone transgender, stabilendo che l’articolo 3 della legge del 25 giugno 2017, “réformant des régimes relatifs aux personnes transgender de l’état civil e ses effets”, viola il principio di eguaglianza (art. 10 costituzione belga) nella parte in cui non riconosce un genere diverso da quello maschile e femminile. 

Numero
99
Anno
2019

La pronuncia in esame scaturisce dal ricorso diretto presentato di fronte alla Cour constitutionnelle da tre organizzazioni no-profit impegnate nella promozione dei diritti delle persone transgender (Çavaria; Maison Arc-en-Ciel; Genres Plurali). Esse chiedono alla Corte di procedere all’annullamento di parte dell’articolo 3 e dell’articolo 11 della legge 25 giugno 2017: secondo i ricorrenti, infatti, le norme considerate violano gli articoli 10, 11 e 22 della Costituzione belga, da leggere in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Le organizzazioni ricorrenti sostengono che l’impianto binario delineato dai suddetti articoli della legge 25 giugno 2017, consentendo di rettificare il sesso anagrafico esclusivamente secondo i due marcatori di genere maschile e femminile e stabilendo il principio della irrevocabilità della rettificazione anagrafica del sesso, comporterebbe la violazione del principio di eguaglianza e non discriminazione, tradendo altresì la ratio ultima della suddetta legge, ovvero quella di porre l’autodeterminazione del soggetto al centro dei percorsi di affermazione di genere.

La Corte costituzionale belga, con decisione del 19 giugno 2019 n. 99, accoglie il ricorso così formulato. La stessa, difatti, conferma che l’impossibilità di veder riconosciuto nell’ordinamento un genere che si ponga al di là del binomio maschile-femminile integri una violazione del principio di eguaglianza. Il giudice costituzionale ritiene che la situazione giuridica delle persone transgender binarie e quella delle persone transgender non binarie sia assimilabile e che la legge considerata introduca un’illegittima differenziazione tra le stesse, basata esclusivamente sull’identità di genere. Essa, infatti, permette soltanto ai soggetti che si riconoscono o nel genere maschile o in quello femminile di essere riconosciuti in conformità alla propria identità di genere, precludendo tale possibilità a coloro la cui identità di genere prescinde dal suddetto binomio. 

La Cour constitutionnelle, inoltre, propone un’interpretazione evolutiva degli articoli 10 e 11-bis della Costituzione, nella parte in cui entrambi gli articoli fanno espressamente riferimento alle categorie di uomo e donna. Secondo la Corte, infatti, esse non devono essere considerate alla stregua di un principio costituzionale dell’ordinamento belga e il fatto che la stessa Costituzione vi faccia riferimento non impedisce l’adozione delle misure necessarie a contrastare le disparità di trattamento basate sull’identità di genere non binaria.

Sulla base delle due argomentazioni finora delineate, quindi, la Cour constitutionnelle annulla l’articolo 3 della legge 25 giugno 2017, poiché non prevede per le persone con identità di genere non binaria la possibilità di modificare la registrazione del sesso negli atti di stato civile in modo congruente alla loro identità di genere. La Corte invita, dunque, il legislatore a colmare la lacuna individuata, riconoscendo la possibilità dello stesso di provvedervi in modi diversi: ad esempio introducendo una terza categoria anagrafica, ulteriore rispetto a quella maschile e a quella femminile; ovvero eliminando l’indicazione del genere dagli atti di stato civile.

Inoltre, la Corte costituzionale individua un ulteriore elemento di illegittimità nello stesso articolo 3 della legge considerata, in relazione al principio di irrevocabilità della rettificazione anagrafica. Secondo la Corte, infatti, tale principio impedisce il riconoscimento dell’identità di genere fluida, ovvero soggetta a variazioni nel corso del tempo. Il fatto che, una volta intervenuta, la rettificazione anagrafica del sesso sia irreversibile fa sì che, laddove l’identità di genere successivamente muti, il soggetto si trovi nell’impossibilità di vederla giuridicamente riconosciuta. 

Sebbene la Corte riconosca che la ratio della natura irrevocabile della rettificazione sia quella di prevenire frodi identitarie, la stessa conclude che essa non possa essere considerata ragionevole.

Con questa motivazione, quindi, la Cour constitutionnelle annulla l’articolo 3 della legge 25 giugno 2017 anche nel punto in cui fa riferimento alla irreversibilità della rettifica. Da ciò deriva, poi, anche l’annullamento parziale dell’articolo 11 della medesima legge, al fine di consentire una nuova modifica del nome a seguito di un’ulteriore rettifica del sesso nell’atto di nascita.

Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.

Maria Vittoria Izzi
Pubblicato il: Mercoledì, 19 Giugno 2019 - Ultima modifica: Domenica, 27 Aprile 2025
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