La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 55 legge 184 del 1983 (diritto del minore ad una famiglia) nella parte in cui stabilisce che l'adozione in casi particolari non fa sorgere alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante, per violazione degli articoli costituzionali 3, 31 e 117 co.1 in riferimento all'articolo 8 della CEDU che sancisce il diritto alla vita privata e familiare.
Corte Costituzionale - sent. 79/2022: adozioni in casi particolari e relazioni familiari
23 febbraio 2022
La sentenza della Corte trae origine da un processo civile e dai seguenti fatti di causa.
Nell'ottobre 2020, il ricorrente, unitosi in matrimonio all'estero poi trascritto nell'ordinamento italiano come unione civile, ha chiesto al giudice civile il riconoscimento dell'adozione della minore nata da fecondazione assistita e biologicamente legata al partner e, inoltre, il riconoscimento dei rapporti civili della minore con i propri parenti. In primo luogo, il giudice ha affermato di poter accogliere la domanda di adozione sulla base dell'art. 44 della legge 184 del 1983 che permette al componente di una coppia dello stesso sesso, privo di un legame biologico con il figlio del partner, di accedere all'adozione in casi particolari. Quanto alla seconda domanda, però, il giudice ha ritenuto di non poter riconoscere i rapporti civili della minore con i parenti del ricorrente ai sensi dell'art. 55 della stessa legge in combinato disposto con l'art. 300 co.2 del Codice civile. Ritenendo di non poter condurre un'interpretazione abrogans del dato normativo, il Tribunale per i minorenni ha allora sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo in questione per violazione degli articoli 3, 31 e 117 co.2 della Costituzione.
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le tre eccezioni di legittimità costituzionale avanzate dal giudice a quo.
Preliminarmente, i giudici hanno proposto una disamina storica dell'evoluzione dell'istituto dell'adozione in casi particolari. Ravvisate le rationes originarie legittimanti il ricorso all'istituto nella necessità di valorizzare un rapporto di un terzo già di fatto istauratosi con il minore o nella difficoltà di accedere all'adozione piena, hanno preso atto degli itinerari interpretativi nel diritto vivente che hanno portato al rovesciamento della concezione dell'istituto come residuale extrema ratio aprendo, invece, alla configurazione dello stesso come modello di "adozione aperta o mite".
Ciò esaminato, la Corte ha riconosciuto l'esistenza di numerosi casi di minori che coltivano una relazione affettiva con il partner del genitore biologico che è giuridicamente impossibilitato ad adottare il minore stesso. In particolare, ha ravvisato che la situazione nel caso di specie si intreccia alla delicata questione della procreazione medicalmente assistita e della maternità surrogata come vie di accesso alla genitorialità per le coppie dello stesso sesso. Pur ribadendo che non esiste un diritto alla genitorialità "comprensivo dell'an, del quando e del quomodo" (p. 5.2.3.), i giudici hanno affermato che il caso di specie riguarda la centralità della tutela del primario interesse del minore che vive di fatto una relazione affettiva con il partner del genitore biologico.
Sulla base di queste premesse, riaffermando la forte vocazione dell'istituto dell'adozione in casi particolari a tutelare l'interesse del minore al riconoscimento di relazioni di fatto già instaurate e consolidate, i giudici hanno ritenuto che l'articolo 55, in combinato disposto con il 300 co.2 del codice civile, sancisce un chiaro ed equivoco diniego delle relazioni familiari tra l'adottato e i parenti dell'adottante. Ciò è in contrasto con la protezione da parte della Repubblica del minore e del suo primario e superiore interesse come sanciti dall'art.31 della Costituzione, ulteriormente tutelato da numerosi e vincolanti documenti internazionali cui l'Italia ha aderito.
Quanto al contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, i giudici hanno ritenuto irragionevole la disparità di trattamento imposta dall'articolo censurato rispetto all'unicità dello status di figlio e alla condizione giuridica del minore sanciti dall'ordinamento per l'adozione piena. Ciò è ritenuto ancor più vero alla luce dell'evoluzione della coscienza sociale nel senso di un marcato riconoscimento del valore dell'appartenenza alla comunità familiare per l'identità del minore e a seguito delle riforme del 2012-2013 attraverso le quali il legislatore ha valorizzato e rafforzato la tutela giuridica del legame che intercorre fra il minore e gli altri parenti.
Infine, quanto all'articolo 117 co.1, la Corte ha ravvisato che la norma è in contrasto con l'articolo 8 della CEDU che sancisce il diritto alla vita privata e familiare. Tali concetti, infatti, sono interpretati nella giurisprudenza della Corte nel senso dell'esistenza di un dovere dello Stato di tutelare l'identità del minore e di perseguire il superiore interesse del bambino, anche se al legislatore nazionale è riconosciuto un ampio margine di apprezzamento sulla scelta delle modalità per realizzare questa garanzia.
Per questi motivi, la Corte ha affermato che "la norma lede il minore nell'identità che gli deriva dell'inserimento nell'ambiente familiare del genitore adottivo e, dunque, dall'appartenenza a quella nuova rete di relazioni che di fatto vanno a costruire stabilmente la sua identità" (p. 8.2) dichiarandone l'illegittimità per contrasto con gli articoli 3, 31 e 117 co.1 della Costituzione.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.