La Corte EDU dichiara manifestamente infondato il ricorso presentato dal padre perché la figlia, affetta da una malattia cerebrale degenerativa (leucodistrofia metacromatica), si era vista rigettare la richiesta di somministrazioni di cellule staminali mesenchimali elaborate secondo la metodica Stamina.
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Durisotto c. Italia: il rifiuto dell’autorizzazione ai trattamenti Stamina non viola la CEDU
6 maggio 2014
Il Tribunale di Udine aveva revocato la sentenza cautelare che aveva autorizzato in via d’urgenza le terapie, rigettando la domanda del ricorrente.
Il ricorrente lamenta davanti ai giudici di Strasburgo una violazione degli artt. 2, 8 e 14 della Convenzione poiché il rigetto della richiesta di autorizzazione alle terapie violerebbe il diritto alla salute e alla vita della figlia. La violazione dell’art. 14 deriverebbe dal fatto che la legge di conversione del decreto 24/2013 avrebbe introdotto una discriminazione, basando su un requisito meramente temporale la possibilità di accedere alle cure. I giudici, inoltre, anche a seguito dell’entrata in vigore del decreto e della legge di conversione ,avrebbero continuato ad adottare decisioni discordanti dando luogo a trattamenti differenziati.
La Corte riconosce che il diniego del Tribunale di Udine costituisce un’ingerenza nella vita privata della figlia del ricorrente, ma ritiene che tale ingerenza sia imposta dal d.l. 24/2013 e che essa sia volta a perseguire il legittimo scopo di proteggere la salute individuale.
La Corte riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento quando si tratti l’accesso a cure compassionevoli per persone affette da gravi patologie e pone in evidenza come, nel caso concreto, la valenza scientifica dei trattamenti in questione non possa in alcun modo dirsi comprovata. Non sarebbe dunque compito di un giudice internazionale sostituirsi alle autorità nazionali competenti nella determinazione del rischio accettabile per i pazienti che intendano accedere a cure compassionevoli nel caso di terapia sperimentale, la cui efficacia non sia stata provata (par. 40).
L’ingerenza nella vita privata della ragazza è dunque da considerarsi necessaria in una società democratica.
In riferimento all’art. 14, la Corte ritiene che anche esso, in collegamento con l’art. 8 , debba essere considerato applicabile al caso in questione. Secondo la Corte, però, molte delle decisioni che autorizzavano i trattamenti riguardavano situazioni diverse da quella in causa.
Quanto ai casi che si possano considerare simili, la Corte ricorda che la differenza di trattamento, per costituire una violazione dell’art. 14, deve configurarsi come “discriminatoria” ed è dunque necessario dimostrare che essa non persegua una scopo legittimo e che non sia proporzionata.
Secondo la Corte, anche volendo considerare la situazione della figlia del ricorrente comparabile a quelle in cui versano soggetti che hanno ricevuto autorizzazione alle terapie, il diniego del Tribunale di Udine persegue lo scopo legittimo di tutelare la salute e costituisce una decisione motivata che non pare arbitraria.
Il fatto che altri giudici abbiano autorizzato non è di per sé sufficiente a determinare una violazione dell’art. 14 in combinato con l’art. 8.
Il ricorso è dunque rigettato perché manifestamente infondato.
Nel box download il testo della sentenza (in francese) e un abstract della stessa (in inglese).