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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - Lavorgna c. Italia: la Corte ha ritenuto che sia inumana e degradante la misura di contenimento per pazienti psichiatrici non necessaria e protratta per un tempo prolungato
7 novembre 2024

La Corte Europea dei Diritti umani ha stabilito che il contenimento prolungato, non necessario e non utilizzato come ultima risorsa per pazienti psichiatrici è considerabile come lesivo dell’art. 3 CEDU integrando la fattispecie di trattamenti inumani e degradanti.

Numero
8436/21
Anno
2024

Il ricorrente M. Lavorgna, successivamente alla diagnosi di “psicosi non altrimenti specificata”, riceve un TSO ad ottobre 2014 per “agitazione motoria, aggressività verso gli altri e per la diagnosi in generale”. Una settimana dopo, due psichiatri ne dichiarano la pericolosità sociale poiché aveva aggredito fisicamente i suoi genitori e un medico, sebbene non avesse coscienza delle sue azioni. A causa di queste segnalazioni viene mantenuto sotto sedazione e trasferito in un ospedale con reparto dedicato.

In ragione di questi trattamenti, nel novembre 2015 il ricorrente chiama in causa i medici dell’ospedale di Melzo, dove era stato inizialmente trattenuto sotto sedazione e aveva ricevuto il TSO, con l’accusa di aver somministrato i trattamenti in modo inumano e degradante, di aver praticato una coercizione fisica non giustificata e per un prolungato periodo di tempo nei confronti di Lavorgna. Quanto lamentato in giudizio avrebbe causato a quest’ultimo sofferenza fisica e psicologica, avvalorata anche dalla confessione dei due medici che avevano dichiarato di non essere competenti per la situazione del ricorrente e che non disponevano delle risorse per prendersi cura di lui in modo consono durante il periodo di ospedalizzazione.

Si lamenta, inoltre, che il trattamento sia stato sproporzionato rispetto alla sua situazione, basandosi su un’aspettativa di “ripetitività” delle azioni aggressive. Il contenimento, da questo punto di vista, avrebbe avuto un intento pedagogico e ciò è condannato dal Comitato per la prevenzione delle torture.

Sebbene nel febbraio 2016, a seguito di perizia richiesta del Pubblico Ministero, il trattamento di contenimento fosse stato considerato e dichiarato “inusitatamente prolungato”, nel luglio del 2020 il Giudice per le Indagini preliminari decide di archiviare il procedimento, dichiarando nella motivazione della decisione che i medici non avevano commesso errori nella pratica medica in quanto avevano agito in aderenza alle linee guida e ai protocolli e, che Lavorgna non aveva subito negligenza e superficialità nel trattamento ricevuto.

Il 29 gennaio 2021, Lavorgna deposita il ricorso presso la Corte EDU lamentando violazione dell’art. 3.

La Corte svolge quattro considerazioni. In primo lugo ritiene sia pacifico che il paziente, nel periodo di ospedalizzazione, si trovasse sotto la responsabilità statale, in quanto privato della sua libertà con polsi e caviglie legati al letto.

In secondo luogo svolge una riflessione sulla necessità del trattamento di contenimento. La Corte sostiene che, seppur le misure fossero inizialmente necessarie per evitare che il ricorrente ledesse se stesso e agli altri, successivamente la possibilità che si verificasse un danno meramente potenziale, come quello presente dopo l’aggressione, non poteva ritenersi sufficiente ad integrare tale requisito. Questa posizione è avvalorata anche dal divieto, espresso dalla Corte di Cassazione, della pratica del contenimento preventivo e da ciò che prevede il Comitato per la prevenzione della tortura. Quest’ultimo, in particolare, prevede che qualora ci sia un contenimento superiore ad un breve periodo di tempo, quantificato in ore, ci deve essere una supervisione ad intervalli periodici da parte del personale medico. Stando alla cartella clinica del ricorrente, tale supervisione periodica non è stata realizzata.

La Corte EDU ha poi evidenziato che l’Ospedale di Melzo non è riuscito a dimostrare di aver considerato il contenimento come risorsa residuale rispetto a trattamenti meno invasivi per il paziente, come invece è previsto dai protocolli ospedalieri. Questa tesi è avvalorata dalla richiesta di trasferimento presso un altro istituto per il proseguo della cura psichiatrica, all’interno della quale veniva dichiarato che il contenimento era stato «problematico da gestire e eticamente discutibile». È quest’ultima affermazione che è ritenuta particolarmente preoccupate dalla Corte.

In ultima analisi, quindi, la Corte riconosce la violazione dell’art 3 rilevando che il periodo di contenimento prolungato si è dimostrato non necessario e abbia provocato dolore e sofferenza al paziente.

Il testo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.

Marta Venier
Pubblicato il: Giovedì, 07 Novembre 2024 - Ultima modifica: Mercoledì, 18 Dicembre 2024
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