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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Mennesson e Labassee v. Francia: diritto dei figli nati da maternità surrogata ad ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione da parte delle autorità statali
26 giugno 2014

I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che ecceda il margine di apprezzamento statale il rifiuto delle autorità francesi di riconoscere il rapporto di filiazione fra padre biologico e figli nati mediante procedimenti di maternità surrogata all’estero.

Numero
ric. n. 65941/11
Anno
2014

Due coppie di coniugi avevano presentato ricorso alla Corte avverso lo Stato francese essendosi visti negare il riconoscimento del rapporto di filiazione tra i figli e genitori committenti, riconosciuto invece negli Stati Uniti dove i bambini erano nati. Due provvedimenti emanati in California e Minnesota avevano accertato, in quegli ordinamenti, la qualità giuridica di genitori delle coppie committenti.

L'ordinamento francese, però, vieta il ricorso alle tecniche di surrogazione di maternità, punita ai sensi del codice penale con un anno di reculsione e una multa di 15.000 €. Per questa ragione le autorità francesi avevano ritenuto illegittimi gli accordi di maternità stipulati dalle coppie e si erano rifiutate di iscrivere i certificati di nascita nel registro dedicato.

I reclami delle coppie avverso tale diniego erano stati in ultima istanza rigettati dalla Corte di Cassazione: in una pronuncia del 6 aprile 2011 la Corte ha argomentato che la registrazione dei rapporti di filiazione equivarrebbe a dare esecuzione a contratti nulli, vietati nel sistema francese per ragioni di ordine pubblico. Secondo la Corte tale decisione non costituirebbe violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare poiché non impedirebbe ai bambini di vivere comunque con i genitori.

Due ricorsi sono stati presentati alla Corte EDU nell’ottobre 2011, lamentando una violazione degli articoli 8 e 14 della Convezione. La Corte EDU parte dall'assunto che fra i coniugi e i bambini si era effetti instaurato un legame di vita che, ex art. 8, poteva essere qualificato come familiare. La Corte ha rilevato che l'ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e vita familiare risultante dal rifiuto delle autorità francesi di riconoscere il rapporto di filiazione era stato "in conformità con la legge" ai sensi dell'articolo 8 e aveva perseguito due scopi legittimi: la "tutela della salute" e la "tutela dei diritti e delle libertà altri ".

Quanto alla necessarietà dell’ingerenza “in una società democratica" la Corte sottolinea come sia necessario lasciare agli Stati un ampio margine di apprezzamento nel prendere decisioni su questioni eticamente sensibili, quali la maternità surrogata. Tale margine di discrezionalità, però, sarebbe notevolmente ristretto allorché sia in gioco un legame di parentela che coinvolge un aspetto fondamentale dell’identità degli individui. Il mancato riconoscimento della rapporto di filiazione influenzerebbe inevitabilmente la vita familiare dei minori, i cui interessi devono sempre essere considerati come preminenti.

Pur avendo le autorità francesi garantito la possibilità di instaurare una condizione di vita familiare equiparabile a quella di altre famiglie, la Corte osserva che i minori si trovano in uno stato di incertezza giuridica che ne minerebbe l’identità all’interno della società francese (difficoltà nell’ottenimento della cittadinanza, profili relativi alle possibilità ereditarie…).

Gli effetti del rifiuto a riconoscere il legame di parentela si estenderebbero, quindi, non solo alle coppie che avevano fatto ricorso alle tecniche di maternità surrogata, ma anche ai loro figli. Impedendo il riconoscimento e l'instaurazione di rapporti giuridici tra i bambini e il loro padre biologico, lo Stato francese aveva oltrepassato il margine consentito di apprezzamento.

La Corte ha dunque dichiarato che il diritto dei minori al rispetto della loro vita privata era stato violato, mentre non ha ritenuto necessario esaminare il reclamo dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 14.

La Francia è stata condannata a pagare un risarcimento a ciascuno dei figli a titolo di danno non patrimoniale, oltre a costi e spese.

Nel box download i testi delle due sentenze.

Marta Tomasi
Pubblicato il: Giovedì, 26 Giugno 2014 - Ultima modifica: Lunedì, 24 Giugno 2019
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