Trasfondere sangue ad un testimone di Geova durante l’esecuzione di operazioni in regime di emergenza urgenza, nonostante il rifiuto del paziente stesso, costituisce violazione dell’art. 8 CEDU letto alla luce dell’art. 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione).
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – Pindo Mulla v. Spain: Testimoni di Geova e trasfusioni di sangue durante operazioni in regime di emergenza urgenza
17 settembre 2024
Rosa Edelmira Pindo Mulla, nata in Equador nel 1970 ma residente in Spagna è una testimone di Geova, religione questa che prevede tra i suoi dogmi fondanti il rifiuto assoluto di qualsiasi trasfusione di sangue.
A seguito di alcuni accertamenti medici, alla ricorrente veniva consigliato di sottoporsi ad un intervento chirurgico. La signora Pindo Mulla procedeva dunque alla compilazione di due documenti - un testamento biologico e una procura duratura - nei quali veniva riportato il suo rifiuto di sottoporsi a trasfusioni di sangue. La ricorrente, oltre a portare sempre con sé i documenti, depositava il testamento biologico presso il Registro Ufficiale delle direttive anticipate di Castiglia e León, rendendolo così accessibile, tramite il sistema elettronico in utilizzo presso le strutture sanitarie, all’ospedale di Soria.
Il 6 giugno 2018, la ricorrente veniva ammessa all’ospedale di Soria per alcune emorragie interne causate dalla forte anemia di cui era affetta. Il personale medico proponeva alla signora Pindo Mulla una trasfusione di sangue che essa rifiutava tramite la compilazione di un documento per il consenso informato inserito poi nella cartella clinica della paziente.
Nei giorni seguenti la signora, previo consenso, veniva trasferita presso l’ospedale di Madrid data la sua capacità di fornire forme di trattamento alternative alla trasfusione di sangue. Essa veniva scortata presso la nuova struttura da un membro del personale sanitario dell’ospedale di Soria con tutta la documentazione medica.
Durante il trasporto il medico dell’ospedale di Soria informava il personale dell’nosocomio di arrivo circa la gravità delle condizioni. I medici dell’ospedale di Madrid contattavano allora il giudice in servizio mettendolo a conoscenza della religione della paziente e del rifiuto di qualsiasi trattamento verbalmente espresso dalla stessa. Il giudice, senza conoscere l’identità della paziente o i suoi desideri precisi, chiedeva al medico forense in servizio presso il giudice territoriale un’opinione in merito. Un’ora dopo, mentre la ricorrente si trovava nell’ambulanza in viaggio verso Madrid, il giudice in servizio autorizzava tutte le procedure, sia mediche che chirurgiche, necessarie per salvarle la vita. Nonostante il suo stato vigile, cosciente e cooperante, la signora Pindo Mulla non veniva informata dell’ordinanza del giudice.
Trattandosi di un contesto emergenziale, l’usuale protocollo volto alla raccolta del consenso era stato saltato dall’ospedale di Madrid e la ricorrente, sempre in stato cosciente e cooperante, veniva accompagnata in sala operatoria dove veniva sottoposta anche a tre trasfusioni delle quali veniva informata solo dopo l’operazione stessa.
La signora Pindo Mulla proponeva così ricorso presso il tribunale nazionale per annullare la decisione che tuttavia veniva confermata in appello con successiva dichiarazione di inammissibilità del giudizio per amparo di fronte alla Corte costituzionale.
La ricorrente presentava ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 13 marzo 2020 lamentando la violazione degli artt. 8 e 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in quanto, sebbene il suo rifiuto circa determinate cure mediche fosse stato reso chiaramente, questo era stato ignorato.
La questione centrale, secondo la Corte, è se l’iter decisionale seguito dalle autorità nazionali sia stato o meno rispettoso dell’autonomia della paziente. Se da una parte la Corte ha riconosciuto che l’intendo del giudice era quello di salvaguardare la vita della paziente, dall’altra i numerosi interventi della Corte hanno confermato come un paziente adulto e competente sia libero di decidere se accettare o meno qualsiasi procedura chirurgica o medica (tra cui rientrano anche le trasfusioni di sangue). Sempre secondo la Corte, nelle situazioni di emergenza, la decisione di rifiutare un trattamento salvavita deve essere chiara, precisa e inequivocabile e deve rappresentare la posizione attuale del paziente in questione. Se tuttavia permanevano «reasonable grounds to doubt any of these aspects, then there was a duty for health care professionals to make every reasonable effort to determine what the patient would want. If, despite those efforts, the physician – or a national court – was unable to establish that clearly, it was their duty to protect the patient’s life by providing essential care» (pag. 3).
In base alla ricostruzione effettuata dalla Corte, nonostante la volontà della signora Pindo Mulla, fosse ricostruibile attraverso la consultazione delle diverse forme di lasciti scritti, il giudice aveva espresso la propria decisione solamente sulla base del fax inviato dal nosocomio di Madrid all’interno del quale si affermava il rifiuto – espresso solo verbalmente - di tutti i tipi di trattamento da parte della paziente. Il giudice di turno, dunque, non aveva ricevuto complete ed esaustive informazioni e la sua decisione si era basata su una ricostruzione parziale e incompleta. A ciò si aggiunge il fatto che la capacità valutativa della ricorrente – nonostante essa fosse lucida, consapevole e collaborante – era stata messa in secondo piano, trasferendo il potere decisionale in capo ai medici.
Secondo la Corte le autorità nazionali non hanno permesso alla ricorrente di esercitare la propria autonomia al fine di osservare il suo credo religioso, violando così il suo diritto al rispetto della vita privata sancito dall’art. 8 della Convenzione letto alla luce dell’art. 9.
Il testo della sentenza e il legal summary sono disponibili nel box download