La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Polonia in quanto non garantisce un adeguato riconoscimento legale alle coppie di persone dello stesso sesso.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Przybyszewska e altri v. Polonia: illegittima la mancanza del riconoscimento legale di coppie formate da persone dello stesso sesso
12 dicembre 2023
I fatti e il quadro normativo polacco
Nella vicenda in esame, cinque coppie di persone dello stesso sesso lamentano che in Polonia non vi sia un adeguato riconoscimento legale delle loro relazioni.
Il quadro normativo polacco in materia è composto, in particolare, dall’art. 18 della Costituzione polacca secondo cui: “Marriage, as a union between a man and a woman as well as the family, motherhood and parenthood, shall be under the protection and care of the Republic of Poland” e dall’art. 1 del Family and Custody Code che, in materia di registrazione del matrimonio, stabilisce la necessaria presenza di un uomo e di una donna affinché l’ufficiale di Stato civile possa procedere a registrare l’unione.
Le coppie dei ricorrenti, dunque, dopo essersi rivolte all’Ufficio di stato civile locale al fine di contrarre matrimonio e a seguito del rifiuto di questo di procedere sulla base della normativa interna sopradescritta, decidono di sottoporre la questione a diversi Tribunali polacchi che confermano, tuttavia, la legittimità del diniego.
I ricorrenti, ad aprile del 2018, si rivolgono alla Corte costituzionale polacca, ritenendo che il Family and Custody Code violi fondamentali principi costituzionali (artt. 30, 31, 32, 47). Nonostante inizialmente la questione venga accolta, nel dicembre 2021 il procedimento si interrompe. La Corte costituzionale, infatti, ritiene di non poter decidere nel merito stante la mancanza di un’espressa disposizione normativa che accordi il diritto richiesto e che quindi la questione sollevata rientri nell’ambito delle funzioni del Parlamento.
La decisone della Corte
La Corte di Strasburgo, visto il contenuto simile delle questioni sollevate, ritiene più opportuno affrontarle unitamente.
I ricorrenti lamentano dunque violazione dell’art. 8 CEDU in tema di rispetto della «private life» stante l’assenza nello stato polacco di qualsiasi forma di riconoscimento e tutela legale per le coppie omosessuali. La Corte ritiene che la questione rientri nell’alveo applicativo della norma richiamata, come già affermato in altri precedenti casi (Fedotova and Others v. Russia), ammettendone dunque l’applicabilità.
Ciò premesso, il Governo, i ricorrenti e i terzi (tra i quali The Council of Europe Commissioner for Human Rights) esprimono le proprie osservazioni nel merito della questione.
La tesi sostenuta dal Governo segue una linea tradizionalista, ribadendo che il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna e che pertanto il responsabile dell’Ufficio di stato civile abbia agito correttamente nel rispetto della legge. Inoltre, viene riconosciuto il diritto delle coppie omosessuali di accedere a un’adeguata tutela giuridica che tuttavia non può riguardare l’istituto del matrimonio.
La posizione dei ricorrenti mette in luce che la Legge polacca in materia è contraria ai principi costituzionali interni e alla CEDU (artt. 8 e 14). Difatti, la tutela giuridica offerta non è sufficiente, poiché le coppie omosessuali subiscono quotidianamente numerosi svantaggi pratici a causa del mancato riconoscimento delle loro unioni in tema, ad esempio, di tassazioni, diritti sociali e in materia di adozioni (parr. 59 e 61).
Nel merito la Corte ritiene che, nel rispetto dell’art. 8 CEDU, gli Stati membri sono tenuti a fornire un quadro giuridico che consenta alle coppie dello stesso sesso di ottenere un adeguato riconoscimento e tutela della loro relazione (par. 98). Tuttavia, ciò non implica un obbligo positivo agli Stati contraenti di rendere il matrimonio accessibile a tali coppie. Infatti, l'esatta natura dell’istituto giuridico da mettere a disposizione non deve necessariamente assumere la forma del matrimonio ed è una scelta rimessa agli Stati (par. 99). La discrezionalità concessa agli Stati, quindi, riguarda sia la forma del riconoscimento che il contenuto della tutela da concedere, con la precisazione che devono essere garantiti diritti pratici ed effettivi e non solo teorici.
Quanto alle posizioni specifiche dei ricorrenti, la Corte rileva, condividendo quanto da loro lamentato, che gli stessi vivono in «a legal limbo», privi di qualsiasi tutela legale e costretti a fronteggiare diverse difficoltà negli aspetti pratici della loro vita quotidiana, aspetti relativi alla gestione delle proprietà, al mantenimento, alla tassazione e all'eredità (parr. 108 - 114).
In conclusione, la Corte ritiene che lo Stato convenuto abbia oltrepassato il suo «margine di apprezzamento» e, in violazione degli artt. 8 e 14 CEDU, non ha rispettato l'obbligo positivo di garantire ai ricorrenti un adeguato quadro giuridico circa il riconoscimento e la tutela del loro rapporto.
Per questi motivi la Corte ha accolto la questione sollevata dai ricorrenti e ha condannato il Governo polacco al risarcimento delle parti lese (ai sensi dell’art. 41 CEDU “satisfaction to the injured party”).
La decisione non è stata presa all’unanimità in quanto il giudice Wojtyczek ha espresso la sua contrarietà alla stessa nella dissenting opinion in chiusura. Egli ritiene, non solo che l'ordinamento giuridico polacco garantisca già una serie di diritti alle coppie dello stesso sesso, ma anche che l’evoluzione giurisprudenziale nazionale in materia stia costantemente ampliando questo elenco.
Il testo della sentenza è disponibile a questo link e nel box download.