La Corte europea dei Diritto dell’Uomo ha affermato che il ricovero coatto di un minore presso un ospedale psichiatrico e la contestuale sottoposizione dello stesso a trattamento farmacologici viola la CEDU e in particolare gli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti), 14 (divieto di discriminazione).
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – V.I. v. Repubblica di Moldavia: ricovero coatto e trattamento farmacologico forzato presso un ospedale psichiatrico
26 marzo 2024
V.I., dopo la morte della madre avvenuta nel 2005 e l’incarcerazione del padre con successivo decesso nel 2009, viene affidato alle cure della zia. Alla morte di quest’ultima, avvenuta nel 2012, il sindaco di C. diventa tutore e legare rappresentante di V.I.
Nel 2013, V.I. trascorre alcune settimane in ospedale per delle cure psichiatriche, viene poi collocato in orfanotrofio e successivamente in un centro di inserimento prima di essere iscritto, per l’anno scolastico 2013/2014, in un collegio.
Durante la pausa estiva, non trovando altra collocazione, V.I. viene ricoverato nuovamente presso l’ospedale psichiatrico. Nonostante i diversi solleciti della direzione ospedaliera rivolti al sindaco di C. affinché trovasse più idonea sistemazione a V.I., il ragazzo rimane presso il reparto psichiatrico sino al novembre 2014, momento in cui viene nominato tutore il cugino di V.I.
Dalle cartelle cliniche risulta che, durante il ricovero presso il reparto psichiatrico, al ricorrente sono stati somministrati tranquillanti, neurolettici, anticoagulanti, nootropi, farmaci contro l’overdose da tranquillanti e farmaci per il cuore.
Secondo V.I. il ricovero a cui era stato sottoposto era illegittimo così come illegittima risultava essere la somministrazione di farmaci che aveva portato allo sviluppo di una sindrome neurolettica maligna. V.I. sporge denuncia contro il sindaco di C. per lesioni personali colpose, in quanto aveva acconsentito al suo ricovero presso l’ospedale non curandosi poi di trovare al minore una più adeguata sistemazione.
Il tribunale assolve il sindaco di C. ritenendo che spettasse all’autorità per la protezione dei minori di Nisporeni trovare un posto dove V.I. potesse vivere dopo la degenza. V.I. e il pubblico ministero propongono, quindi, appello contro la decisione del tribunale. Gli appelli vengono accolti nel giugno 2017 con contestuale condanna dal sindaco a due anni e mezzo di reclusione e al pagamento di 60.000 lei moldavi a favore di V.I. V.I. propone ricorso per cassazione. Il 12 dicembre 2017 la Corte Suprema di Giustizia ribalta la sentenza d’appello e assolve il sindaco da tutte le accuse.
L’indagine penale parallela atta a verificare la sussistenza delle accuse di tortura, maltrattamenti e abusi si conclude con l’archiviazione nel maggio 2017 in quanto, secondo il Pubblico Ministero, non vi sono prove che V.I. avesse subito traumi, intimidazioni o violenze durante i ricoveri.
V.I. propone ricorso presso la Corte europea dei Diritti dell’Uomo lamentando che il suo ricovero presso l’ospedale psichiatrico e il successivo trattamento psichiatrico costituiscono una violazione degli artt. 3, 8, 13 e 14 della Convenzione.
In particolare, il ricorrente afferma come il suo ricovero presso l’ospedale psichiatrico e la contestuale sottoposizione a trattamenti psichiatrici, assieme alle condizioni materiali e al trattamento riservatogli da parte del personale, degli altri pazienti e alla carenza di adeguate indagini da parte delle autorità competenti, costituiscano una violazione dell’art 3 CEDU, secondo il quale nessuno deve essere sottoposto a torture o trattamenti o punizioni inumane o degradanti (par. 80).
La Corte, dopo aver analizzato le motivazioni fornite dal governo moldavo nell’intento di giustificare il ricovero e la permanenza di V.I. presso il reparto psichiatrico, nonché la sua sottoposizione a trattamenti farmacologici, ha dichiarato l’insufficienza delle stesse. Ha poi dichiarato la condotta delle autorità sanitarie moldave come lesiva dell’art. 3 CEDU affermando altresì come il contesto giuridico esistente in Moldavia sia incapace di adempiere al dovere dello Stato di istituire un sistema capace di proteggere da eventuali abusi le persone affette da disabilità e da disturbi psichici.
La Corte analizza poi la questione relativa all’asserita violazione dell’art. 14 CEDU, letto in combinato disposto con l’art. 3 della Convenzione, circa l’inefficacia delle indagini svolte dal pubblico ministero moldavo nel 2017 per l’accertamento della sussistenza delle accuse di tortura, maltrattamenti e abusi, considerandola non la conseguenza di un caso isolato, ma una condotta dovuta a stereotipi generali di natura discriminatoria diffusi in seno alle autorità moldave nei confronti delle persone portatrici di disabilità psicosociali (par. 165). La Corte osserva come già in passato i Relatori Speciali delle Nazioni Unite avessero segnalato la presenza nel territorio moldavo di un substrato ostile e sistematicamente discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità intellettive, la cui conseguenza sono massicci, e spesso ingiustificati, processi di istituzionalizzazione dei bambini con disabilità psicosociali.
La Corte ha notato come le varie autorità operanti nel contesto in esame – tutte aventi obblighi di cura nei confronti del minore V.I. – avessero deliberatamente concordato nel ricovero dello stesso presso l’ospedale psichiatrico e come, anche dalle indagini del pubblico ministero, fosse emersa la correlazione tra assenza di cure alternative e ricovero presso l’ospedale psichiatrico.
La Corte ha accolto la doglianza del ricorrente circa la violazione dell’art. 14 CEDU letto in combinato disposto con l’art. 3.
Quanto alla asserita violazione dell’art. 13, la Corte ha dichiarato l’incapacità dello Stato moldavo di garantire ai cittadini un meccanismo in grado di offrire risarcimento ai soggetti con disabilità mentale che dichiarano di essere vittime di condotte lesive degli artt. 3 e 14 CEDU (par 178).
Secondo la Corte, il caso V.I. v Repubblica di Moldavia ha permesso di mettere in luce il meccanismo di ricovero forzato che interessa gli ospedali psichiatrici moldavi e il contestuale trattamento psichiatrico di bambini affetti da disabilità intellettiva e senza cure genitoriali.
La Corte condanna la Repubblica di Moldava al pagamento di 25.000 a favore del ricorrente, quale ristoro del danno non patrimoniale subito, e invita lo Stato ad adottare una serie di misure volte alla riforma del sistema dell’involontario ricovero presso strutture psichiatriche dei minori con disabilità intellettuali.
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