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Corte costituzionale - sent. 85/2013: Caso ILVA
9 aprile 2013

Nei giudizi di legittimità costituzionale di alcune disposizioni relative alla tutela della salute e dell'ambiente e dei livelli di occupazione in caso di crisi degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, adottate con decreto legge, poi convertito, la Corte costituzionale ha rigettato le questioni relative inter alia alla violazione del diritto alla salute.

Numero
85
Anno
2013

Nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 3 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), come convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 231 del 2012, promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto e dal Tribunale ordinario di Taranto, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate in riferimento agli artt. 25, co. 1., 27, co. 1, e 117, co. 1 Cost. e ha dichiarato non fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 9, co. 2, 24, co. 1, 32, 41, co. 2, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112 e 113 Cost.

L’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012 prevede che, presso gli stabilimenti dei quali sia riconosciuto l’interesse strategico nazionale con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e che occupino almeno duecento persone, l’esercizio dell’attività di impresa, quando sia indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, possa continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche nel caso sia stato disposto il sequestro giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una autorizzazione integrata ambientale rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

L'impugnazione dell'art. 3 del medesimo decreto legge si fonda sull'applicabilità della disciplina ivi prevista alla specifica fattispecie dell’impianto siderurgico Ilva di Taranto, che costituisce, ai fini del decreto legge impugnato, uno stabilimento di interesse strategico nazionale.

Fra i parametri individuati dal giudice rimettente, si segnala la violazione del principio d'eguaglianza, la violazione dell'art. 117, co. 1, Cost. (con riferimento a una molteplicità di parametri interposti) e la violazione del diritto alla salute.

La Corte dichiara inammissibile la questione relativa alla violazione dell'art. 117, co. 1, poiché il rimettente non ha illustrato né adeguatamente motivato i profili di incompatibilità individuati rispetto all'art. 6 CEDU, agli artt. 3 e 35 della Carta di Nizza Integrità fisica e psichica e diritto alla salute), all'art. 191 del TFUE, relativamente al principio di precauzione da osservare in materia ambientale: «Il rimettente si limita in effetti ad evocare una generica corrispondenza tra le norme di tutela dei diritti fondamentali contenute nella Carta costituzionale, asseritamente violate dalle disposizioni oggetto di censura, ed alcune norme sovranazionali, comprese nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo o nell’ordinamento dell’Unione europea. Non viene proposta alcuna puntuale considerazione, però, sulle specifiche ragioni di conflitto tra il diritto nazionale ed i parametri interposti, dei quali non è illustrata, neppure in termini sommari, la concreta portata precettiva». Insufficienti sono anche state considerate le argomentazioni relative alle pretese violazioni dell'art. 25, co. 1, e 27, co. 1, Cost.

Con riferimento alla violazione del principio d'eguaglianza, per quanto attiene ai rischi connessi alla tutela della salute, il giudice a quo rileva che la norma impugnata introduce una discriminazione illegittima tra cittadini tutti esposti ad emissioni inquinanti, a seconda che, sulla base del predetto provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, gli stabilimenti dai quali provengono le emissioni siano o no dichiarati «di interesse strategico nazionale», posto che solo nel primo caso sarebbero inibite le azioni a tutela dei diritti delle persone interessate. A tale proposito, inoltre, nell'ordinanza di remissione viene rilevata anche la violazione degli artt. 2, 9, 32 e 41 Cost. in quanto, consentendo l’esercizio dell’iniziativa economica privata con modalità tali da recare danno alla sicurezza ed alla dignità umana, la disciplina in questione annullerebbe la tutela del diritto fondamentale alla salute e all’ambiente salubre.

Nell'escludere la violazione dell'art. 112 Cost., la Corte evidenzia che la norma impugnata «traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti».

Riportiamo qui si seguito i passaggi principali della sentenza in riferimento alla tutela del diritto alla salute (il testo completo della pronuncia è disponibile nel box download).

«La ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».

«Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» […]. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».

«Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo «fondamentale», contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un «carattere preminente» del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come «valori primari» […] implica una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale».

Il giudice a quo, inoltre, rilevava un totale annientamento del diritto alla salute e ad un ambiente salubre, a favore delle ragioni della produzione economica. Nell'escludere tale violazione, la Corte comunque afferma che «nessuna esigenza, per quanto costituzionalmente fondata, potrebbe giustificare la totale compromissione della salute e dell’ambiente».

La prosecuzione dell'attività produttiva è infatti subordinata all'osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio, che costituisce l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi, in cui devono trovare simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale. «Il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA, con le sue caratteristiche di partecipazione e di pubblicità, rappresenta lo strumento attraverso il quale si perviene, nella previsione del legislatore, all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall’attività oggetto dell’autorizzazione». La norma impugnata prevede, quindi, la combinazione tra un atto amministrativo ed uno legislativo, da cui scaturisce l'’individuazione del bilanciamento, che è il risultato di apporti plurimi, tecnici e amministrativi, contestabile davanti al giudice competente, nel caso si lamentino vizi di legittimità dell’atto da parte di cittadini che si ritengano lesi nei loro diritti e interessi legittimi.

Per quanto attiene ai rapporti tra discrezionalità tecnica e amministrativa e controllo giurisdizionale: «Lo stesso atto, peraltro, non può essere contestato nel merito delle scelte compiute dalle amministrazioni competenti, che non possono essere sostituite da altre nella valutazione discrezionale delle misure idonee a tutelare l’ambiente ed a prevenire futuri inquinamenti, quando l’esercizio di tale discrezionalità non trasmodi in un vizio denunciabile nelle sedi giurisdizionali competenti. Il punto di equilibrio contenuto nell’AIA non è necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opinioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole, avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista».

«La normativa censurata […] è pertanto ispirata alla finalità di attuare un non irragionevole bilanciamento tra i princìpi della tutela della salute e dell’occupazione, e non al totale annientamento del primo».

«Il legislatore ha ritenuto di dover scongiurare una gravissima crisi occupazionale, di peso ancor maggiore nell’attuale fase di recessione economica nazionale e internazionale, senza tuttavia sottovalutare la grave compromissione della salubrità dell’ambiente, e quindi della salute delle popolazioni presenti nelle zone limitrofe».

Lucia Busatta
Pubblicato il: Martedì, 09 Aprile 2013 - Ultima modifica: Lunedì, 24 Giugno 2019
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