La Corte d’Appello di Napoli ha sancito il diritto di una donna di adottare il figlio biologico della compagna, con la quale è unita civilmente e ha condiviso il progetto di filiazione.
Corte d'Appello di Napoli - sent. 145/2018: adozione in casi particolari e riconoscimento della genitorialità
15 giugno 2018
La ricorrente è unita civilmente con la propria compagna dal 2016. Le due donne hanno insieme maturato un progetto di genitorialità. Una delle due si era quindi sottoposta alla procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti che aveva poi portato alla nascita di un figlio. Sin dalla nascita entrambe avevano condiviso la cura, il mantenimento e l’educazione, tanto che il bambino le considera entrambe mamme.
La ricorrente aveva avanzato richiesta di adozione (art. 44, co.1, lett. d della legge n. 184/1983).
Nonostante l’istruttoria precedente all’adozione avesse dato esisto positivo e nonostante il parere favorevole del p.m., in primo grado il Tribunale dei Minorenni aveva rigettato l’istanza, ritenendo che – nell’adozione in casi particolari prevista dalla legge 184/1983 – la responsabilità genitoriale sia esercitata solo dal genitore adottante, mentre nel caso di specie entrambe le donne avrebbero voluto continuare ad esercitare la responsabilità genitoriale.
Avverso tale pronuncia viene quindi proposto appello. Il ricorso è completamente accolto dalla Corte di Appello di Napoli.
Alla luce di un’attenta ricostruzione delle più recenti pronunce relative al riconoscimento della genitorialità nelle coppie omosessuali, la Corte d’Appello rileva che “la giurisprudenza, in tema di tutela dell’omogenitorialità, è andata ormai “oltre”, dichiarando l’efficacia nel nostro Paese di provvedimenti stranieri di adozione piena in favore di coppie omosessuali (Cassazione, 31 maggio 2018, n. 14007), nonché di atti di nascita (o di provvedimenti) stranieri, indicanti, come genitori, due persone dello stesso sesso, escludendone la contrarietà all’ordine pubblico”.
Secondo la Corte, il bambino, in tali casi, è parte di un progetto di genitorialità condivisa.
Il giudice di secondo grado ribalta, dunque, la pronuncia del Tribunale dei minorenni, evidenziando si ponga addirittura “al di fuori dei principi fondanti dell’ordinamento giuridico” l’interpretazione della norma sull’adozione del minore in casi particolari (art. 44, co. 1, lett. d) della legge 184/1983), in base alla quale il riconoscimento della genitorialità nell’ambito di un’unione civile farebbe venire meno la responsabilità genitoriale in capo al genitore biologico, trasferendola al solo adottante.
Nel caso di specie, poi, il minore risulta inserito in un contesto familiare stabile e sano che ne assicura una crescita psicofisica equilibrata. La ricorrente risulta idonea ad adottare e il perfezionamento dell’adozione corrisponde in pieno al superiore interesse del bambino.
La Corte conclude, infine, argomentando sotto una più ampia prospettiva. “Il principio del superiore interesse del minore, per la sua primaria rilevanza, sia costituzionale e di diritto interno, sia europea sia internazionale, svolge una funzione integratrice, ma anche di adeguamento, conformazione e di correzione dello stesso principio di legalità … consentendo di temperare o al limite di disapplicare talune norme che incidono sui minori”. Conformando l’ordine pubblico, tale principio consente anche di derogare le norme penali.
Questo risulta particolarmente rilevante anche in relazione alle tecniche di pma. Secondo la Corte d’Appello, “la rigida applicazione delle regole codicistiche sulla procreazione naturale anche alle “nuove modalità” di procreazione è, ormai, oltre che inadeguata, giuridicamente errata. È infatti possibile configurare una sorta di tripartizione tra genitorialità (rectius, di attribuzione dello status) da procreazione naturale, da pma e da adozione legale”.
In aggiunta, contribuisce a realizzare il miglior interesse del minore anche la conservazione dello status acquisito per effetto della procreazione o del riconoscimento della genitorialità avvenuti all’estero. Questo, peraltro, corrisponde al principio fondamentale di libertà di circolazione nell’ambito del diritto europeo.
Con specifico riguardo alla pma, la Corte d’Appello ricostruisce lo schema di genitorialità desumibile dalla riscrittura costituzionale della legge 40, nei termini che seguono:
- Il nato da pma (omologa o eterologa) ha stato di figlio della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche
- In caso di pma eterologa, il partner maschile che abbia dato il consenso non può disconoscere il nato
- La madre non può avvalersi della facoltà di non essere nominata
- Il donatore di gameti non acquisisce nessuna relazione con il nato
Alla luce di ciò, secondo la Corte, si pone la questione della tutela della genitorialità da pma fondata sul consenso, nell’ambito di un progetto condiviso di genitorialità, che nel caso di specie riguarda una coppia omosessuale che, rispetto al riconoscimento di diritti fondamentali, non può subire discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.
La fortissima esigenza di tutela, che coinvolge, essenzialmente, il minore nato da un progetto di genitorialità condivisa impone al giudice di disporre l’adozione in casi particolari richiesta dalla ricorrente.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download (fonte: Articolo29).