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Corte d’assise di Massa, caso Trentini: la dipendenza costante da cure mediche e l’assistenza permanente nell’espletamento di una funzione organica integrano la condizione della dipendenza dai “trattamenti di sostegno vitale” di cui alla sent. 242/2019 della Corte costituzionale
27 luglio 2020

I giudici di Massa hanno assolto dai reati di rafforzamento e agevolazione del suicidio (art. 580, co. 1 c.p.) Marco Cappato e Mina Welby, nel caso che li vedeva imputati per la morte di Davide Trentini, perché “il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell’esecuzione del suicidio”.

Numero
1
Anno
2020

Il sig. Trentini aveva cominciato a soffrire di sclerosi multipla nel 1993, ma fino al 2005-2006 è riuscito a condurre una vita abbastanza normale, assumendo – al fine di alleviare i dolori cagionati dalla malattia – cortisone e interferone. A seguito di una recrudescenza della malattia, il sig. Trentini cominciava un ciclo di chemioterapia, continuando ad assumere farmaci chemioterapici dal 2007 al 2011, quando ha dovuto smettere per aver raggiunto il limite di tempo massimo di somministrazione. Per sopportare il dolore causato dagli spasmi muscolari cui era soggetto, cominciava allora ad assumere cannabis terapeutica fornitagli dall’ASL. A partire dal 2014 la malattia entrava nella fase più acuta, comportando dolori sempre più forti alla schiena, danni al sistema neurologico e, conseguentemente, problemi nella deambulazione e nello svolgimento delle attività essenziali. Nel 2016, inoltre, il sig. Trentini subiva una caduta che gli provocava la frattura di alcune costole e della clavicola.

La decisione di voler morire era stata esposta dal sig. Trentini alla ex compagna già nel 2015, ma dopo la sua caduta nel 2016 la sua richiesta di aiuto a morire si è fatta più insistente. Dopo essersi messo in contatto con una struttura svizzera specializzata nei servizi di aiuto alla morte volontaria – la quale aveva dato parere favorevole alla richiesta del sig. Trentini, ma che poi aveva fatto seguire diversi rinvii a causa dei controlli operati dalle autorità svizzere – il sig. Trentini contattava Marco Cappato e Mina Welby per rivolgersi ad un’altra struttura.

Il 12 aprile 2017 Davide Trentini veniva accompagnato in Svizzera, e il giorno dopo gli era applicata la flebo con il farmaco letale, munito del meccanismo di iniezione che ha attivato lo stesso Trentini, facendo sopraggiungere la morte nel giro di pochi minuti. L’intera procedura è stata filmata a norma della legislazione svizzera.

La Corte d’assise di Massa assolve gli imputati affermando da un lato che la fattispecie di rafforzamento del proposito suicidiario non sussiste (ai sensi dell’art. 530, co. 1 c.p.p.), per mancanza dell’elemento materiale; dall’altro, che rispetto alla fattispecie agevolativa, “vi è un concreto dubbio in merito alla sussistenza di una scriminante”, e che in definitiva il fatto non costituisce reato (ai sensi dell’art. 530, co. 2-3 c.p.p.).

La Corte d’assise si trovava a dover applicare l’art. 580, co. 1 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio), nella versione risultante dall’intervento manipolativo di cui alla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale, senza che nel frattempo il Parlamento avesse approvato la legge auspicata dalla Consulta. I giudici di Massa passano in rassegna l'elenco dei requisiti necessari affinché possa ritenersi sussistente la causa scriminante introdotta dalla Consulta nella sentenza 242 del 2019, controllandone la ricorrenza nel caso di specie sulla base del quadro emergente dalle risultanze processuali. Alle quattro condizioni specificamente individuate dalla Corte costituzionale a partire dalle condizioni cliniche di Dj Fabo si aggiungono altre due, derivanti dagli artt. 1 e 2 della l. n. 219/2017. Tali requisiti sono i seguenti:

1)      deve essere accertato da un medico che la patologia era irreversibile;

2)      deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica;

3)      deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale;

4)      un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli;

5)      la volontà dell’interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni;

6)      il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative.

Dagli atti di causa è emerso che sussistono sicuramente le condizioni sub 1, 2, 4, 5, 6, mentre residua un ragionevole dubbio in relazione alla condizione sub 3, cioè la dipendenza da “trattamenti di sostegno vitale”, dal momento che il sig. Trentini non era stabilmente collegato ad un respiratore automatico o ad altro meccanismo strettamente funzionale al suo mantenimento in vita. A tal proposito, il CT della difesa, dott. Riccio, aveva sostenuto che il sig. Trentini dipendesse da due forme di sostegno vitale: una farmacologica, la cui interruzione “avrebbe comportato uno scompenso cardio-circolatorio e un aggravamento della sintomatologia invalidante ed algica”, con probabile decesso per infarto o ictus cerebrale; inoltre, una meccanica, da individuarsi nella funzione evacuativa manuale delle feci, “senza la quale si sarebbe giunti ad un quadro occlusivo meccanico con conseguente morte del paziente”.

La Corte d’assise, al punto 15.2 della motivazione, afferma chiaramente che “la dipendenza da “trattamenti di sostegno vitale” non significa necessariamente ed esclusivamente “dipendenza da una macchina””. Partendo dall’analisi integrata delle disposizioni della l. n. 219/2017 e di quanto previsto nella sent. 242 del 2019, la Corte d’assise conclude che “ciò che ha rilevanza sono tutti quei trattamenti sanitari – sia di tipo farmaceutico, sia di tipo assistenziale medico o paramedico, sia, infine, con l’utilizzo di macchinari, compresi la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale – senza i quali si viene ad innescare nel malato “un processo di indebolimento” delle funzioni organiche il cui esito – non necessariamente rapido – è la morte”.

Oltre alle motivazioni strettamente tecniche, secondo la Corte d’assise vi è anche una motivazione giuridica che milita a favore di tale interpretazione: l’art. 25, co. 2 Cost. vieta il ricorso all’analogia solo “in malam partem”, mentre la consente con riguardo alle norme penali di favore, comprese le scriminanti, con ciò rendendo possibile la similitudine tra la situazione in cui concretamente versava il sig. Trentini e quella di un malato che dipende da trattamenti di sostegno vitale in senso proprio. Tale dipendenza deve in ogni caso essere oggettiva, intesa come "non autosufficienza" del malato di provvedere a sé stesso, e funzionale, nel senso che l’ausilio di un macchinario o di un farmaco o l’aiuto di una terza persona devono essere diretti a rendere possibile l’espletamento di una funzione vitale, interrompendosi la quale la persona morirebbe.

 

Nel box download è disponibile il testo della sentenza.

Giulio Battistella
Pubblicato il: Lunedì, 27 Luglio 2020 - Ultima modifica: Sabato, 19 Settembre 2020
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