La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un imputato condannato in secondo grado per il reato di cui all’art. 580 c.p. per aver fornito ad una donna informazioni sulla possibilità di accedere al suicidio assistito in Svizzera, escludendo dunque che tale condotta possa integrare la fattispecie criminosa di istigazione al suicidio.
Corte di Cassazione – Sez. V pen. – sent. 17965/2024: escluso il reato di istigazione al suicidio nel caso di informazioni sull’aiuto a morire
7 maggio 2024
La vicenda e la decisione della Corte d’Assise d’Appello.
La vicenda che ha occasionato la pronuncia della Suprema Corte riguarda il caso di una donna di quarant’anni, affetta dalla sindrome di Eagle, la quale si rivolgeva telefonicamente al Presidente di una nota associazione impegnata nella promozione di una “cultura della dignità della morte” per ottenere informazioni sulla possibilità di accedere al suicidio assistito in Svizzera. I contenuti dei contatti telefonici nonché della corrispondenza tra la donna e l’imputato circa l’avanzamento della procedura avviata e i ringraziamenti per il supporto e i consigli ricevuti venivano poi pubblicati da quest’ultimo sul bollettino dell’associazione da lui presieduta.
Sulla base di tali fatti, dunque, la Corte d’Appello territoriale ha condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione l’imputato Presidente dell’associazione perché con la condotta così descritta avrebbe commesso il reato di cui all’art. 580 c.p. (istigazione al suicidio).
La decisione della Corte di Cassazione.
La Corte accoglie il ricorso ritenendo fondati alcuni dei motivi avanzati dal ricorrente.
In particolare, nella decisione si spiega che quella configurata dall’art. 580 c.p. è una «fattispecie plurisoggettiva necessaria impropria» e cioè nella produzione di uno degli eventi tipizzati dalla norma devono concorrere l’azione autolesiva del soggetto passivo e la condotta del soggetto attivo del reato che «deve risolversi in una forma di istigazione, ossia nella determinazione o nel rafforzamento dell’altrui volontà suicida, ovvero di agevolazione dell’esecuzione del suicidio» (punto 4.1 del considerato in diritto).
La condotta di partecipazione morale contestata all’imputato nella forma del rafforzamento della volontà suicidaria della donna rappresenta dunque, sul piano condizionalistico, un mero antecedente necessario dell’evento, che influisce, sul piano psicologico, sulla determinazione del soggetto passivo di compiere il gesto autolesivo.
Tuttavia, si specifica, che per ritenersi tipica, «la condotta di partecipazione morale deve presentare un “intrinseco finalismo” orientato all’esito finale, sussistendo altrimenti il rischio di dilatare oltremodo il perimetro oggettivo della fattispecie fino a ricomprendere qualsiasi condotta umana che abbia comunque suscitato o rafforzato l’altrui volontà suicidaria comunque liberamente formatasi» (punto 4.2.).
Ricostruito così il profilo della condotta tipica, il dolo non potrà che essere generico, per la cui integrazione è però indispensabile sia la prefigurazione dell’evento come dipendente dalla propria condotta sia la consapevolezza dell’obiettiva serietà dell’altrui proposito suicida.
In ragione di questi principi, la Corte afferma che la motivazione della sentenza impugnata appare «inadeguata nell’individuazione della condotta attribuibile all’imputato dei caratteri di tipicità della fattispecie contestata» (punto 4.4.). La Corte d’Appello, infatti, avrebbe dovuto spiegare in che termini le parole dell’imputato sarebbero state specificamente orientate a rafforzare la volontà suicidaria della donna e non rappresentino, invece, la sua generica opinione sul tema del fine vita.
Ed ancora la Corte prosegue contestando le aporie motivazionali della sentenza impugnata sotto il profilo del nesso eziologico tra la condotta dell’imputato e l’evento del reato. In particolare, si contesta il fatto di non aver valutato adeguatamente i profili temporali della condotta e dell’evento, avvenuti rispettivamente nel 2017 e nel 2019 e dunque lontani tra loro nel tempo (punto 4.8.).
Infine, si conclude dicendo che anche ammesso che la condotta all’imputato corrisponda a quella tipizzata, la Corte territoriale avrebbe dovuto evidenziare le ragioni per cui egli «non possa eventualmente aver agito in maniera solo imprudente e, qualora avesse ritenuto atteggiarsi il dolo nella sua forma eventuale, se e per quale motivo possa ritenersi che l’imputato si fosse chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo» (punto 5).
Per tutti i motivi così riassunti, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello per un nuovo giudizio.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.
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