Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno stabilito che, nel giudizio per il risarcimento dei danni subiti a causa di trasfusione di sangue infetto, promosso nei confronti del Ministero della Salute, il verbale redatto dalla Commissione medica costituisce prova legale solo dei fatti avvenuti in sua presenza o da essa compiuti. Le diagnosi e le manifestazioni di scienza o di opinione espresse, al contrario, sono soggette al libero apprezzamento del giudice.
Corte di Cassazione – Sezioni Unite civili – sent. 19129/2023: nesso di causalità e risarcimento del danno derivato da trasfusione di sangue infetto
6 luglio 2023
Nel giugno del 1988 M.L., a seguito di un incidente stradale, venne sottoposto a un intervento chirurgico durante il quale si rese necessaria la trasfusione di un’unità di sangue. Nel settembre 2004 M.L. si sottopose ad accertamenti che evidenziarono l’infezione da virus dell’HIV. L’anno successivo la Commissione medica gli riconobbe pertanto l’invalidità totale e permanente.
Il Tribunale di Roma, nel marzo 2013, ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere una somma agli eredi del defunto M.L. a titolo di risarcimento del danno. La Corte d’Appello di Roma ha successivamente confermato la responsabilità del Ministero, modificando nel quantum l’entità del risarcimento dovuto.
Avverso la sentenza di secondo grado ricorre il Ministero della Salute. Viene impugnato innanzitutto il capo della sentenza d’Appello che, sulla base del giudizio della Commissione medica ospedaliera, aveva ritenuto sussistente il nesso causale tra la somministrazione dell’emotrasfusione e l’insorgere dell’infezione. La decisione della Commissione, infatti, può costituire prova legale solo in merito ai fatti che essa stessa ha compiuto o che sono avvenuti in sua presenza. Le valutazioni, diagnosi e manifestazioni di scienza o di opinione che abbia espresso, invece, sono rimesse al libero apprezzamento del giudice.
Le Sezioni Unite, nell’accogliere la doglianza del Ministero, riconoscono che «il nesso causale non è un fatto obiettivo, ma una relazione che lega un’azione o un’omissione ad una data conseguenza» (pagina 15). Poiché, come ribadisce la Cassazione, in materia di responsabilità civile vige la regola del “più probabile che non”, risulta evidente che la decisione relativa al nesso causale è frutto di un procedimento valutativo. Non è, dunque, un fatto obiettivo. Di conseguenza, l’accertamento relativo alla causalità effettuato dalla Commissione medica non può costituire prova legale ai fini del risarcimento del danno.
Una valenza diversa dev’essere invece riconosciuta al provvedimento che, considerando il parere della Commissione, dispone la liquidazione dell’indennizzo a seguito di lesione irreversibile derivata da emotrasfusioni. L’atto con il quale l’amministrazione riconosce il diritto all’indennizzo, infatti, presuppone che venga riconosciuta una derivazione eziologica tra trasfusione e insorgenza della patologia. Se tale riconoscimento, da un lato, non può in sé integrare prova legale, dall’altro è un elemento grave e preciso che giustifica il ricorso alla prova presuntiva e permette perciò di ritenere provato il nesso causale.
Chi agisca in giudizio per il risarcimento del danno, quindi, potrà far leva sulla valutazione compiuta durante il procedimento di liquidazione dell’indennizzo al fine di provare la sussistenza del nesso causale anche in sede risarcitoria. Per superare una prova presuntiva di tale portata l’amministrazione dovrà allegare elementi fattuali specifici che non avevano potuto essere considerati durante l’accertamento del diritto all’indennizzo.
Considerando quanto emerso, le Sezioni Unite rinviano il giudizio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà procedere a un nuovo esame della fattispecie, da condurre tenendo in considerazione i principi di diritto enunciati.
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