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Corte di Cassazione - sez. I civ. - ord. 7022/2024 – mutilazioni genitali femminili e rimpatrio
15 marzo 2024

Con ordinanza del 15 marzo 2024 n. 7022 la Corte di Cassazione ha enunciato il principio per cui in caso di mutilazioni genitali femminili (MGF), il pericolo per la richiedente di subire, in caso di rimpatrio, ulteriori trattamenti discriminatori di genere o trattamenti inumani e degradanti deve essere valutato considerando la storia personale della donna e il contesto sociale di provenienza.

Numero
7022
Anno
2024

La vicenda

Il caso di specie riguarda il ricorso di una donna nigeriana contro il decreto del Tribunale di Roma che le aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiata.

Quando la ricorrente è ancora piccola, infatti, viene sottoposta a MGF nel suo paese di origine (Nigeria), secondo la tradizione lì dominante e in vista di un successivo matrimonio. Al contrario, però, la donna successivamente entra in un monastero ed emette i voti. Per proseguire il suo percorso religioso si trasferisce in diversi monasteri italiani, presso i quali, tuttavia, subisce episodi di molestie e discriminazioni che le impediscono di continuare lo stesso.

Data la sua situazione e i rapporti con il paese di origine, la ricorrente aveva presentato una richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria al giudice competente.

Tuttavia, il Tribunale di Roma aveva rigettato la questione mentre aveva accolto la domanda della ricorrente concernente il riconoscimento della cd. protezione speciale.  

A seguito del rigetto la ricorrente impugna la decisione in Cassazione con 4 motivi. I primi due motivi riguardano il riconoscimento dello status di rifugiata poiché la pratica delle MGF, a detta della ricorrente, realizzerebbe un trattamento ingiustamente discriminatorio nei confronti della donna. Con il terzo motivo si denuncia la mancata audizione della ricorrente con la conseguenza che erano state valutate solo le persecuzioni della richiedente in quanto monaca e religiosa. Con il quarto motivo si deduce che la protezione speciale era stata riconosciuta esclusivamente sulla base del percorso di integrazione della donna in Italia e sul rispetto dell'art. 8 CEDU, senza valorizzare il vissuto e il contesto esistente nel Paese di origine.

La decisione della Corte

Nel caso di specie, il Tribunale ha escluso il rischio in caso di rimpatrio svolgendo l'indagine limitatamente a profili discriminatori legati allo status di religiosa della ricorrente, affermando che non risultano atti discriminazioni nei confronti di monache e religiose nella zona di provenienza della donna .Tuttavia, la ricorrente ha manifestato il rischio di rimpatrio non in relazione a una discriminazione legata al suo status di religiosa, ma in relazione a una discriminazione di genere dipendente dalla sua attuale condizione di donna non sposata e neppure monaca o suora, in quanto rifiutata dall'ambiente religioso del suo Paese.

La Cassazione dichiara che il Tribunale, considerando che le MGF integrano un atto persecutorio, è tenuto ad accertare il pericolo per la richiedente di subire in caso di rimpatrio ulteriori trattamenti discriminatori di genere oppure trattamenti inumani e degradanti. Tale rischio deve essere valutato non solo con riferimento all'eventualità che la donna sia sottoposta nuovamente alla pratica delle MGF, ma anche con riguardo all'eventualità che possa subire tali trattamenti a causa del pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale. Secondo la Cassazione, il Tribunale avrebbe dovuto accertare se effettivamente la ricorrente, in ragione del suo vissuto e della sua attuale condizione, potesse ritenersi appartenente ad un particolare gruppo sociale nei cui confronti siano di fatto attuati trattamenti discriminatori, diretti o indiretti, nel libero godimento e nell'esercizio dei diritti fondamentali.

In conclusione, la Cassazione enuncia il principio di diritto per cui: «In tema di protezione internazionale, ove risulti che la ricorrente abbia subito mutilazioni genitali femminili, il pericolo per la richiedente di subire in caso di rimpatrio ulteriori trattamenti discriminatori di genere o trattamenti inumani e degradanti, pure di tipologia diversa da quelli già patiti, deve essere valutato anche con riguardo all'eventualità che ella possa subire tali trattamenti a causa del pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale e il rischio prognostico così individuato va accertato tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza, in relazione anche alla possibilità di ottenere adeguata protezione da parte della autorità locali» (punto 3 dei motivi della decisione).

Sibilla Pianta
Pubblicato il: Venerdì, 15 Marzo 2024 - Ultima modifica: Martedì, 17 Settembre 2024
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