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Corte di Cassazione - sez. I civile - sent. 21633/2021: illegittimità dell'alienazione parentale
23 marzo 2022

Nell'ambito di una controversia relativa alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre e all'allontanamento del figlio minore dalla casa familiare, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la sindrome di alienazione parentale, sulla base della quale si era fondato il convincimento dei giudici del Tribunale dei Minori di Roma, sia scientificamente inconsistente e non possa costituire il fondamento di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori. 

Anno
2022

La decisione della Suprema Corte origina dai seguenti fatti di causa. Già nel 2015, il ricorrente, padre del minore, lamentava innanzi al Tribunale dei Minori di Roma l'impossibilità di instaurare una relazione continuativa col figlio a causa dell'esclusiva convivenza di quest'ultimo con la madre e dei comportamenti ostruzionistici della donna. Venivano allora coinvolti i servizi sociali e vaniva attuato un percorso terapeutico finalizzato al graduale rafforzamento del rapporto fra il padre e il minore attraverso una serie di incontri prestabiliti e costanti.

Con decreto del giugno 2021, il Tribunale ha riscontrato l'insuccesso del percorso mirato alla garanzia del diritto del ricorrente alla costruzione di una relazione parentale con il figlio. I giudici hanno recepito le posizioni dei consulenti tecnici che ravvisavano nei comportamenti della madre una violenza psicologica ai danni del minore riconducibile alla sindrome dell'alienazione parentale (PAS). Sulla base di ciò, hanno disposto la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre e il contestuale allontanamento del minore dalla casa familiare. Quest’ultimo veniva trasferito in una casa-famiglia, dove avrebbe potuto condurre senza interferenze psicologiche gli incontri con il padre. La donna ha proposto reclamo alla Corte d'Appello, che ha però confermato la legittimità del decreto in questione. Ha allora adito la Suprema Corte di Cassazione.

La Cassazione, dichiarato il ricorso ammissibile in quanto la decisione del Tribunale riveste carattere di sentenza e incide sul diritto personalissimo alla responsabilità genitoriale, ha passato in rassegna numerosi motivi di ricorso formulati dalla ricorrente. In particolare, ha ritenuto fondata la doglianza riguardante l'adesione acritica del giudice d'appello ai pareri dei consulenti tecnici, che avevano considerato la madre "alienata e abusante" in quanto esercitava volontariamente o involontariamente una violenza psicologica sul minore, impedendogli l'accesso alla figura paterna (pp.27-28).

La decisione della Corte si innesta su due ordini di considerazioni.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto non condivisibile la configurazione del diritto alla bigenitorialità proposta dal giudice di merito: prima di essere un diritto del padre, infatti, i giudici ricordano che quest'ultimo è un del diritto del figlio. La decadenza dalla responsabilità genitoriale è una misura che recide ogni rapporto giuridico, morale e affettivo con la madre; perciò, deve essere l'extrema ratio. Il bilanciamento tra il diritto del padre alla bigenitorialità e il principio dell'interesse del minore, si afferma, è stato valutato erroneamente a favore del primo. Dal principio dell'interesse superiore del minore, continuano i giudici, sorge una regola procedurale secondo la quale il giudice di merito, nella delicata interpretazione ermeneutica affidatagli, deve valutare il possibile impatto delle misure adottate sul minore. Nel caso di specie, il giudice non ha preso adeguatamente in considerazione i traumi di carattere psico-cognitivi derivanti al minore "sottratto dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita" a causa dell'esecuzione di queste misure (p.15).

In secondo luogo, la Corte ha censurato i rinvii laconici ed acritici del giudice di merito alla valutazione dei comportamenti della madre compiuta dai consulenti tecnici. Si legge: "il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori...il collegio non intende, né potrebbe, sindacare valutazioni proprie della disciplina della psicologia o delle scienze mediche, ma può certo verificarne la correttezza applicativa sulla base di criteri universalmente conosciuti e approvati" (pp.28-29). Alla luce di ciò, i giudici hanno ritenuto che la volontà del minore di rimanere con la madre, espressa in tutte le sedi in cui era stato ascoltato nel 2017 e nel 2018, non può essere automaticamente riconducibile alla pressione psicologica da lei esercitata. Inoltre, hanno concluso che l'omissione da parte del giudice di merito, fondata proprio sulla supposta teoria in questione, di riascoltare il minore prima dell'adozione del provvedimento è ingiustificata ai sensi del consolidato orientamento della stessa Corte (pp.30-21), ribadendo infine l'abilità di quest'ultimo, ormai dodicenne, ad autodeterminarsi e di valutare adeguatamente i propri bisogni.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha cassato il provvedimento della Corte di Appello, rinviando a quest'ultima la causa.

Si indica, sullo stesso tema: Corte di Cassazione - sez. I civ.- sent.7041/2013

La sentenza è disponibile nel box download.

Teresa Andreani
Pubblicato il: Mercoledì, 23 Marzo 2022 - Ultima modifica: Mercoledì, 04 Maggio 2022
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