Con la ordinanza 27 settembre 2024, n. 25820, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto da un medico contro la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, la quale aveva deciso di sanzionarlo con la sospensione di quattro mesi dall’esercizio dell’attività medica per aver leso il decoro professionale ricorrendo a pubblicità non trasparente e non veritiera.
Corte di Cassazione – sez. II civ. – ord. 25820/2024: sanzione disciplinare per effettuazione di pubblicità non trasparente e mancante di veridicità
27 settembre 2024
Nel novembre 2014 l’Ordine dei medici e chirurghi odontoiatri della Spezia sospese il dottor. A.A. dall’esercizio della professione per quattro mesi per aver leso la dignità e il decoro professionale effettuando pubblicità non trasparente e mancante di veridicità. Egli, infatti, aveva utilizzato volantini e cartelloni stradali allo scopo di promuovere la realizzazione di impianti e protesi mobili gratuitamente o a costi molto bassi. Inoltre, sul materiale pubblicitario era impresso il nome di una società riconducibile al dottor A.A., ma inattiva e non autorizzata. Il messaggio trasmesso alla clientela, quindi, risultava equivoco.
Il medico presentò ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie la quale, nel marzo 2018, confermò la decisione. A.A. ha dunque proposto ricorso in Cassazione contro la decisione della Commissione.
In primo luogo, il dottor A.A. evidenzia come, in relazione ai fatti che gli erano stati contestati, fosse maturata la prescrizione quinquennale. La condotta attribuitagli, infatti, era già stata oggetto di un precedente procedimento disciplinare conclusosi nel 2012. La relativa azione disciplinare sarebbe quindi caduta in prescrizione nel 2017. Per la stessa ragione, il medico lamenta altresì la violazione del principio del ne bis in idem in quanto, per lo stesso comportamento e in rapporto agli stessi fatti, gli sarebbero state inflitte due sanzioni (nel 2012 e nel 2014).
La Corte di Cassazione ritiene infondati tali motivi di ricorso. A ben vedere il primo provvedimento sanzionatorio, del dicembre 2012, aveva accertato in modo definitivo l’esistenza dell’illecito disciplinare e aveva di conseguenza implicato la cessazione del comportamento lesivo. Pertanto la condotta reiterata del dottor A.A., contestatagli dopo la prima sanzione disciplinare, costituisce un autonomo illecito.
In secondo luogo, il medico denuncia la violazione, da parte della Commissione, del decreto legge n. 223 del 2006, il quale ha abrogato il divieto di pubblicità informativa dei professionisti sanitari.
La Cassazione, tuttavia, ritiene che anche nell’ambito del nuovo sistema normativo gli Ordini professionali mantengano il potere di verificare la trasparenza, la responsabilità e la veridicità del messaggio pubblicitario. In altre parole, la normativa «non ha determinato la caducazione del divieto, previsto dagli art. 55 e 56 del codice deontologico, di un’informazione sanitaria non trasparente, rigorosa e prudente, non rispettosa nelle forme e nei contenuti dei principi propri della professione medica, non veritiera, corretta e funzionale all'oggetto dell’informazione, equivoca, ingannevole e denigratoria […]» (punto 5).
Considerato quanto emerso, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dal dottor A.A.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.