La Corte di Cassazione ha stabilito che grava sul medico ginecologo l’onere della prova di aver fornito alla paziente tutte le informazioni sugli esami medici e diagnostici effettuabili al fine di escludere l’insorgenza di malformazioni nel feto.
Corte di Cassazione - sez. III civ. - sent. 24220/2015: danno da nascita indesiderata e obbligo di informazione
8 ottobre 2015
A seguito della nascita di una bambina affetta da sindrome di Down, i genitori, due coniugi di Mantova, convenivano in giudizio il ginecologo, «per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, che assumevano essere loro derivati per la mancata informazione circa le indagini prenatali da effettuarsi, ovvero comunque effettuabili, nonché per la mancata diagnosi delle gravi patologie da cui era affetto il feto di sesso femminile, partorito al termine della gravidanza, che dichiaravano di non aver riconosciuto quale loro figlia a causa delle suddette patologie».
Nella propria difesa il medico sosteneva di aver informato la donna che, al fine di escludere del tutto la presenza di malformazioni nel feto, era necessario «sottoporsi ad esami invasivi, comportanti un rischio abortivo e con costo a carico della paziente, la quale aveva preferito non farli». Si costituiva in giudizio anche la compagnia assicuratrice con la quale il ginecologo aveva stipulato una polizza di assicurazione per la responsabilità civile professionale.
Sia in primo grado sia in appello la richiesta risarcitoria dei due attori veniva rigettata. Questi ricorrevano dunque in Cassazione per tre principali motivi:
a. Il primo motivo attiene alla legittimazione attiva del padre della bambina, che veniva esclusa dalla Corte d’appello, in quanto sarebbe divenuta attuale solo nel caso in cui fosse stata rilevata la responsabilità professionale del sanitario. La Cassazione ritiene non ammissibile questo motivo di ricorso.
b. Con il secondo motivo di ricorso, basato sulla violazione di norme di diritto, i coniugi rilevano il mancato rispetto da parte del medico dell’obbligo di informazione. Nonostante non vi fossero particolari ragioni per ritenere sussistente un rischio concreto di malformazioni nel feto, ad avviso dei ricorrenti, i risultati dell’ecografia morfologica evidenziavano percentuali non congrue di crescita del feto e tale fatto avrebbe dovuto indurre il ginecologo a consigliare ulteriori esami diagnostici.
c. Col terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione relativamente all'interpretazione che il giudice del merito ha dato alle risultanze della CTU e alla mancata valutazione delle conclusioni del CTP.
Trattando congiuntamente il secondo e il terzo motivo di ricorso, la Cassazione osserva che il giudice di merito ha tratto conclusioni del tutto compatibili con le risultanze delle indagini della CTU, evidenziando in particolare la mancanza di un rischio specifico di insorgenza di malformazioni nel feto, alla luce del quadro clinico della paziente e degli esami effettuati.
Secondo la Cassazione, risulta dimostrata l’assenza di colpa del medico, che ha invece dimostrato di aver adottato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione. La prescrizione di ulteriori esami diagnostici alla paziente non era imposta dalle sua condizioni di salute né suggerita dai protocolli medici nel caso specifico. Inoltre viene confermata l’assenza di nesso causale tra l'esecuzione asseritamente tardiva dell'ecografica morfologica e la perdita del diritto di interrompere la gravidanza.
I motivi relativi alla tardiva esecuzione di indagini diagnostiche e alla mancata od erronea diagnosi vengono quindi rigettati.
La Cassazione, tuttavia, accoglie parzialmente il ricorso dei coniugi quanto alla violazione dell’obblgo di informazione gravante sul medico: la sentenza della Corte d’appello è errata perché fa gravare sulla paziente un onere probatorio che non le compete. La prova di aver fornito tutte le informazioni spetta, infatti, al medico.
L’obbligo di informare la paziente degli esami diagnostici effettuabili per conoscere preventivamente le patologie fetali si pone a monte rispetto alla prestazione medica relativa alla verifica degli esami già effettuati.
«La responsabilità professionale del medico - ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato - ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento dell'obbligo di informazione, è il medico gravato dell'onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione (Cass. n. 2847/10; cfr. anche Cass. n. 20984/12, n. 19220/13)».
«Il diritto all'autodeterminazione è diverso dal diritto alla salute e che vanno trattate diversamente le fattispecie in cui il danneggiato lamenti la lesione del primo e/o la lesione del secondo». Nel caso in esame, dalla violazione dell’obbligo di informazione (che incide sul diritto all’autodeterminazione) discende la lesione di un altro diritto, quello di determinarsi in merito alla scelta sull’interruzione o sulla prosecuzione della gravidanza.
«Questa Corte di recente ha avuto modo di ribadire che la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato discende dal solo fatto della sua condotta omissiva, rilevando soltanto che, a causa del deficit di informazione, il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni». Ne deriva che l’onere della prova di aver adempiuto a tale obbligo grava sul sanitario.
Il medico «non può esimersi dal prospettare la possibilità, nota alla scienza, di esami o terapie (o interventi) alternativi o complementari, pur se comportanti dei costi e dei rischi maggiori, essendo rimessa al paziente la valutazione dei costi e dei rischi (cfr. Cass. n.19731/14), previa adeguata prospettazione degli uni e degli altri da parte del medico».
La Corte di Cassazione rinvia quindi la sentenza alla Corte d’appello perché accerti (i) se vi sia stata una corretta informazione da parte del ginecologo, alla luce dei criteri individuati in motivazione; (ii) se vi sia stata una lesione del diritto di autodeterminarsi quanto all’effettuazione dell’amniocentesi oppure quanto all’interruzione della gravidanza.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.