La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai genitori di una bambina affetta da gravi danni mentali dalla nascita avverso la sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva escluso la responsabilità da inadempimento contrattuale dei professionisti per non aver correttamente informato i genitori del fatto che l’alterazione cromosomica, rilevata in occasione della amniocentesi, poteva comportare alla nascita gravi danni mentali, impedendo, quindi, alla madre di scegliere se proseguire o interrompere la gravidanza.
Corte di Cassazione - sez. III civ. - sent. 5004/2017: nascita indesiderata e responsabilità medica
28 febbraio 2017
Nel 2003 la coppia aveva convenuto in giudizio il ginecologo di fiducia, il genetista e il laboratorio presso il quale, su consiglio del ginecologo, la donna si era sottoposta all’esame del liquido amniotico (amniocentesi). Dall’esame il feto era risultato affetto da un’alterazione cromosomica (trisomia x). In tale occasione, tuttavia, i genitori sostenevano di non essere stati informati del fatto che tale alterazione potesse comportare alla nascita gravi danni mentali. Per tale motivo, la coppia aveva chiesto di accertare la responsabilità da inadempimento contrattuale dei professionisti coinvolti e la conseguente condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, pari a 13 milioni di euro. All’esito del giudizio di primo grado, il tribunale aveva accolto la domanda di risarcimento del danno in carico ai tre convenuti a favore della madre, per una cifra complessiva pari a 33.000 euro, e del padre per 28.000 euro.
In seguito all’appello proposto dai genitori, la Corte d’Appello di Roma aveva rigettato integralmente la loro domanda, sostenendo che:
- il ginecologo di fiducia, il quale non aveva competenze specifiche sulla trisomia x, aveva assolto i suoi obblighi informativi, rilevando l’alterazione cromosomica, prospettando la possibilità di ricorrere all’aborto terapeutico e indirizzando la donna verso un consultorio di genetica per avere informazioni più approfondite;
- né il consultorio, presso il quale la signora di era recata, né il genetista avevano un obbligo contrattuale di fornire ulteriori informazioni, considerato che la paziente aveva un proprio ginecologo di fiducia;
- poiché non è accertato che la trisomia x comporti rischi di gravi danni mentali, non era certo che la donna avesse diritto all’aborto terapeutico.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla madre avverso la sentenza d’appello. In particolare, la Corte ha rilevato l’illogicità della motivazione della sentenza appellata nella parte in cui, da un lato, circoscrive l’onere di informazione che grava sul ginecologo all’aver comunicato alla paziente la presenza di un’anomalia genetica, dall’altro, per quanto riguarda il laboratorio e il genetista, ritiene che, in presenza di un medico di fiducia, questi non avessero l’onere di informare la paziente dei rischi o di segnalarle possibilità abortive, limitandosi ad eseguire e terminare correttamente l’approfondimento diagnostico.
In questo senso, la Cassazione ha chiarito il contenuto minimo indispensabile degli obblighi di informazione gravanti sui professionisti coinvolti.
Più precisamente, per quanto attiene alla posizione del ginecologo, la Cassazione ha stabilito che non integra una condotta idonea a liberare lo specialista di fiducia dai doveri di una corretta e completa informazione, il comportamento del medico che “…a fronte di una, per quanto rara, alterazione rinvii per più dettagliate informazioni la paziente non ad uno specialista della alterazione stessa… ma a soggetto non maggiormente specializzato e neppure legato alla paziente da un pregresso rapporto fiduciario, come il laboratorio di analisi…”. Detti obblighi di informazione, infatti, risultano più complessi, dovendo necessariamente comprendere un approfondimento in ordine alle conseguenze dell’alterazione rilevata, alle future eventuali incidenze sulla qualità della vita dei genitori e del nascituro, la riconducibilità di tali possibili conseguenze ad una scelta abortiva libera, nonché l’indicazione se queste comportino rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, tali da rappresentare un grave pericolo per la salute psichica o fisica della donna e, pertanto, legittimare una interruzione della gravidanza oltre i primi novanta giorni.
Per quanto riguarda il laboratorio di analisi e il genetista, secondo le parole della Corte, non può ritenersi che questi abbiano assolto i loro obblighi informativi, qualora, a fronte della richiesta di maggiori dettagli da parte della paziente in ordine alle conseguenze della rilevata anomalia genetica, si siano limitati a reindirizzare, a loro volta, la gestante al ginecologo di fiducia. La Cassazione, infatti, ha precisato che “…il compito del laboratorio specialistico di diagnostica non si arresta alla verifica della esistenza della anomalia, ma, a specifica richiesta della paziente, deve soddisfare le sue richieste di informazioni anche in relazione alle più probabili conseguenze di tali anomalie”.
Qui il testo integrale della sentenza disponibile anche nel box download.