Indipendentemente dalla volontà o meno di abortire della donna, grava sul medico il dovere di informare i genitori circa le condizioni di salute del nascituro, anche per consentire loro di prepararsi psicologicamente o materialmente ad eventuali malformazioni.
Corte di Cassazione - sez. III civ. - sent. 7269/2013: obbligo del medico di informare i genitori circa eventuali malformazioni del nascituro
22 marzo 2013
La Corte d'Appello di Firenze nel 2007 aveva stabilito la responsabilità del medico perché la sua prestazione professionale “non soddisfaceva i requisiti minimi standard per il monitoraggio di una eventuale condizione e di idrocefalia”, ma aveva ritenuto non provata la volontà della madre di abortire nel caso fosse stata informata della malformazione e neppure il suo diritto a farlo, poiché non era stato dimostrato alcun grave pericolo per la sua salute psichica. Infatti, spiegava la sentenza "perché possa essere praticata l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 giorni, non è sufficiente che siano accertati processi patologici" nel feto, ma è necessario che si determini un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. E su questo nell'istruttoria compiuta "non erano emersi elementi". La legge 194 del 1978 dispone che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata, oltre ai casi di pericolo per la vita della donna, quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
La Corte in punto di onere della prova, riprendendo le considerazioni svolte nella sentenza 16754/2012 e in altre precedenti, ha ribadito la spettanza alla donna dell’onere di «dimostrare che l’accertamento dell’esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica».
Spetta dunque alla donna che chiede un risarcimento la prova dei fatti costituitivi della pretesa azionata e dunque la prova che “l’informazione omessa avrebbe provocato un processo patologico tale da determinare un grave pericolo per la sua salute, e, in stretta connessione, che, nella situazione ipotetica data, ella avrebbe effettivamente optato per l’interruzione della gravidanza”
Secondo la Corte, la richiesta di accertamenti diagnostici è «un indice niente affatto univoco», che potrebbe essere semplicemente volto ad una più consapevole gestione della gravidanza e del parto.
Del pari, però, la Corte di legittimità ritiene apodittica la pronuncia del Tribunale di Firenze che deriva dal rifiuto di sottoporsi ad amniocentesi l'assenza di elementi indicativi della volontà di abortire della donna: è fondamentale che il giudice, nel singolo processo, acquisisca ogni elemento probatorio che «consenta di valutare la sussistenza o meno di convincimenti etici aprioristicamente contrari a un intervento abortivo».
Indipendentemente comunque dalla volontà della donna di procedere o non procedere ad una interruzione volontaria di gravidanza, la Cassazione ha sottolineato che «il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato».
In allegato il testo della sentenza.