La Corte di Cassazione ha chiarito che, affinché una struttura sanitaria possa considerarsi responsabile per lesioni causate a pazienti, è necessario che il danneggiato dimostri anche la presenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione del medico e il danno causato.
Corte di Cassazione - sez. III civ. - sent.18392/2017: responsabilità medica e dimostrazione del nesso di causalità
5 luglio 2017
Il caso all’esame della Corte
La pronuncia della Cassazione ha avuto origine da una domanda di risarcimento di danni proposta dalla moglie di un paziente il quale era stato sottoposto ad un intervento chirurgico in una struttura sanitaria e il giorno seguente era deceduto per arresto cardiaco.
Innanzitutto, il tribunale di primo grado aveva evidenziato che il rapporto intercorrente tra la struttura sanitaria e il paziente era di natura contrattuale. A seguito della disposizione di una consulenza tecnica era emerso che il decesso era stato causato da una embolia polmonare e che tale evento era stato imprevedibile.
Il tribunale, ritenendo esclusa la presenza del nesso di causalità tra l’intervento chirurgico e la morte del paziente, ha rigettato la domanda. Il tribunale ha ulteriormente argomentato che l’arresto cardiaco e la morte non rientravano tra le possibili complicanze dell’intervento.
In conseguenza del rigetto della domanda, l’attrice ha proposto ricorso in appello. Tale ricorso è stato dichiarato inammissibile.
La decisione della Cassazione
La questione viene quindi posta all’attenzione della Cassazione.
La Corte afferma che in tema di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica il danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto e l’insorgere o l’aggravarsi della patologia e di allegare l’inadempimento del medico. Resta a carico del medico la dimostrazione che l’inadempimento non si è verificato o che non ha causato l’evento dannoso. La Cassazione richiama il principio in base al quale nell’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale, la diligenza deve essere valutata in base alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, co. 2, codice civile). In base a tale disposizione,.
In tema di responsabilità contrattuale viene in rilievo anche l’art. 1256 cc che prevede una ipotesi di esclusione di responsabilità nel caso in cui la prestazione diventi impossibile per causa non imputabile al debitore.
A questo proposito, la Cassazione chiarisce che il comportamento del medico può dirsi diligente solo qualora egli impieghi tutte le cautele necessarie per evitare che la prestazione diventi impossibile. Quindi, la diligenza richiamata dalla Corte si differenzia da quella consistente nell’applicazione di regole tecniche poiché fa riferimento alla scelta di agire in un modo piuttosto che in un altro. Tale scelta deve avere l’obiettivo di evitare il verificarsi della causa che renderebbe impossibile la prestazione. Di conseguenza il comportamento del medico potrà dirsi caratterizzato da colpa qualora egli non abbia impedito che una causa prevedibile ed evitabile rendesse impossibile la prestazione. Perciò il medico può andare esente da responsabilità solo se la causa non è né prevedibile né evitabile.
La Corte ribadisce che l’onere di provare il nesso causale tra danno ed evento spetta alla parte danneggiata. Una volta dimostrato che la patologia è causalmente riconducibile all’intervento del medico, sorge in capo alla struttura sanitaria l’onere di dimostrare che l’intervento ha determinato la patologia per una causa imprevedibile ed inevitabile.
L’elemento che ha permesso alla Cassazione di dirimere il caso di specie è dato dal carattere ignoto della causa dell’arresto cardiaco; infatti essendo tale causa ignota, il nesso di causalità tra evento e danno non può dirsi dimostrato. Per questo motivo la Suprema Corte ha rigettato la domanda del danneggiato.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.