In tema di reati contro la persona, integra il reato di lesioni personali colpose la somministrazione di farmaci "off label", cioè utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza alcuna valutazione del rapporto tra costi e benefici, senza adeguata valutazione clinica, senza ricetta, al di fuori dei canoni previsti dalla L. n. 94/98 (c.d. legge Di Bella) e del Codice deontologico e da soggetto che, essendo farmacista, non era neanche abilitato a somministrarli, ove l'impiego degli stessi da parte del cliente determini l'insorgenza di una malattia ricollegabile causalmente al farmaco somministrato.
Corte di Cassazione - sez. IV pen. - sent. 10658/2024: lesioni colpose a carico del farmacista per la somministrazione di farmaci off-label con scopo dimagrante
13 febbraio 2024
I fatti e la decisione dei giudici di merito
Nel marzo 2015 una donna si era rivolta ad un farmacista, noto anche per l’esercizio di fatto dell’attività di dietologo, per intraprendere una dieta. In quell’occasione il farmacista, senza aver effettuato alcuna visita medica, né esami di laboratorio o stilata la consueta dieta con le indicazioni relative ai pasti e alle quantità, le fornisce un trattamento dimagrante costituito unicamente dalla somministrazione di pillole preparate dallo stesso farmacista, la cui confezione costava circa euro 250,00 e che dovevano essere assunte prima dei pasti principali e, secondo quanto riferito dal farmacista, avrebbero eliminato le calorie introdotte con il cibo, garantendo il dimagrimento indipendentemente da ciò che la paziente mangiava.
Fin da subito, la donna iniziò a manifestare una completa perdita di appetito, una sete incessante, conati di vomito e una spossatezza che limitavano gravemente la sua qualità di vita, sebbene fosse visibile una certa perdita di peso. Quando riferì i disturbi al farmacista, questi le consigliò di proseguire con il trattamento.
Nel corso del tempo, i sintomi peggiorarono: oltre alla continua perdita di appetito e sete, la donna sviluppò dissenteria e vomito che si manifestavano anche durante la guida. Si aggiunse una paralisi agli arti inferiori che si estese successivamente anche alle mani e alla testa. Inoltre, si verificarono l’interruzione del ciclo mestruale e la caduta dei capelli, tanto da costringerla a ricorrere all’uso di una parrucca.
Il 7 luglio 2015, la donna fu quindi ricoverata in ospedale dove fu dimessa solo il 22 luglio dello stesso anno.
Una volta dimessa, non era ancora in buone condizioni di salute; nel mese di settembre si recava per una consulenza da un medico il quale, dopo aver visionato la cartella clinica, esprimeva le sue valutazioni che poi confluivano nella relazione tecnica.
In particolare, accertava che le pillole vendute dal medico contenevano oltre a diuretici e vitamine, efedrina (sostanza solitamente usata per la cura dell'asma ma che nelle diete agisce aumentando il metabolismo cellulare e stimolando la secrezione di catecolamine) e naxeltrone (che è un antagonista degli oppiacei e che riduce l'attività dei centri cerebrali che controllano la sensazione di piacere collegata all'ingestione del cibo ma che è anche fortemente epatotossico e va dunque somministrato solo in caso di assoluta necessità).
Concludeva che si trattava di farmaci "off label", cioè utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza alcuna valutazione del rapporto tra costi e benefici, senza adeguata valutazione clinica, senza ricetta, al di fuori dei canoni previsti dalla legge 94/98 (c.d. legge Di Bella) e del Codice deontologico e peraltro da soggetto che, essendo farmacista, non era neanche abilitato a somministrarli.
Ciò premesso, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il nesso di causalità tra il trattamento somministrato dal farmacista e le lesioni patite dalla donna in quanto: «La ipokalemia, e più in generale il grave squilibrio elettrolitico riscontrato nella C.C., che l'aveva disdratata in modo pericoloso, non poteva che essere derivato dalla somministrazione spregiudicata ed in massicce quantità di molecole quali il bumetamide che, peraltro, sono state associate ad altre molecole che pure presentavano un grado di tossicità non trascurabile e che addirittura interagivano sui centri nervosi.» (par. 3 dello svolgimento del processo).
La decisione della Corte
La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso proposto dal farmacista.
In particolare, quest’ultimo ha affermato la mancata corrispondenza tra il contenuto delle pasticche somministrate e quanto riportato sul flacone. La Suprema Corte ha invece ritenuto tale motivo di doglianza manifestamente infondato, ritenendo che: «la mancata corrispondenza tra il contenuto delle pasticche somministrate e quanto riportato sul flacone è una circostanza meramente ipotizzata e priva di ogni riscontro probatorio; peraltro nel caso che ci occupa i farmaci somministrati alla C.C. erano direttamente preparati e confezionati dall'odierno imputato, risultando del tutto congetturale e peraltro priva di giustificazione logica l'ipotesi della mancata corrispondenza tra la composizione delle pasticche e quanto indicato sul contenitore». (par. 2 dei motivi della decisione).
Il testo della decisione è disponibile nel box download.