Vai menu di sezione

Corte di Cassazione – sez. lavoro - ord. n. 30080/2024 – Licenziamento e tutela dei lavoratori disabili: la sentenza della Corte di Cassazione sul rifiuto di trasferimento e accomodamenti ragionevoli da parte del datore di lavoro
24 ottobre 2024

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30080/2024, ha stabilito che il datore di lavoro non può licenziare un dipendente disabile che si rifiuti di riprendere servizio in una sede lavorativa incompatibile con la sua condizione fisica, senza prima esplorare soluzioni organizzative alternative che permettano al lavoratore di continuare l'attività lavorativa. Il rifiuto di adottare accomodamenti ragionevoli è stato considerato un atto discriminatorio dalla Corte, che ha quindi disposto il rinvio della causa alla Corte d'Appello per una nuova valutazione, focalizzandosi sull'esame di alternative che consentano la prosecuzione del rapporto di lavoro in modo da soddisfare le esigenze del lavoratore disabile.

Numero
30080
Anno
2024

La controversia ha avuto origine quando un lavoratore, affetto da una grave patologia oncologica e riconosciuto invalido al 100%, ha richiesto il trasferimento a una sede lavorativa più vicina alla propria residenza per poter continuare la terapia. Nonostante le ripetute sollecitazioni, il datore di lavoro non ha preso in considerazione tali richieste e, al termine di un periodo di aspettativa non retribuita, ha licenziato il dipendente per assenza ingiustificata. La Corte d'Appello di Bologna, nella fase iniziale, ha confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che il lavoratore non avesse fornito prove sufficienti sull'impossibilità di riprendere servizio nella sede originaria. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, richiamando l’obbligo del datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli per il lavoratore disabile.

Il ricorso presentato dal lavoratore in Cassazione si articolava in sei motivi, di cui due (il terzo e il quinto) sono stati accolti, assorbendo gli altri. Il ricorrente richiedeva l’annullamento della sentenza della Corte territoriale, sostenendo che questa avesse violato e applicato erroneamente l’art. 1460 c.c., nonché le disposizioni dell’art. 3, comma 3-bis del d.lgs. 216/2003, della Direttiva CE 78/2000, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e dell’art. 33 della L. 104/1992. In particolare, il lavoratore sosteneva che la Corte d'Appello non avesse adeguatamente valutato gli inadempimenti reciproci e avesse erroneamente ritenuto che il rifiuto della prestazione lavorativa non fosse giustificato. Inoltre, lamentava il mancato riconoscimento delle tutele previste dal quadro normativo nazionale, europeo e internazionale a favore delle persone con disabilità, che avrebbero dovuto essere applicate nel caso in esame.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando che la Corte d'Appello aveva errato nel prescindere dalla valutazione della possibilità per il datore di lavoro di adottare accomodamenti ragionevoli, compatibili con le patologie e le limitazioni del lavoratore. In particolare, la Cassazione ha sottolineato che, secondo la normativa nazionale ed europea, è onere del datore di lavoro esplorare soluzioni alternative che consentano al lavoratore disabile di proseguire l’attività lavorativa. La Corte ha poi richiamato lo statuto di protezione speciale previsto dall’ordinamento per le persone con disabilità, con particolare riferimento all’art. 3, comma 3-bis, del d.lgs. 216/2003, che obbliga i datori di lavoro ad adottare accomodamenti ragionevoli per garantire la parità di trattamento e la piena inclusione dei lavoratori disabili.
Per quanto riguarda la normativa comunitaria, la Cassazione si è focalizzata in particolare sulla Direttiva 2000/78/CE, la quale stabilisce un quadro generale per la lotta contro le discriminazioni basate sulla disabilità, con l’obiettivo di assicurare il principio di parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. L'art. 5 di tale Direttiva sottolinea per l’appunto l'obbligo per il datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli che permettano ai lavoratori disabili di accedere al lavoro, di svolgerlo e di avere una promozione, a meno che tali misure non comportino un onere finanziario sproporzionato.

Alla luce di queste motivazioni, la Corte di cassazione ha concluso che la Corte d'appello, nell’applicare l’eccezione di inadempimento, avrebbe dovuto considerare l’entità dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, in relazione al contratto e alle esigenze fondamentali di vita del lavoratore. La Corte ha affermato che, nel giudizio di merito, sarebbe stato necessario valutare se il rifiuto del lavoratore fosse giustificato, tenendo conto della sussistenza di accomodamenti ragionevoli da parte del datore di lavoro, poiché il rifiuto di tali accomodamenti costituisce un atto discriminatorio.

Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.

Federica Carluccio
Pubblicato il: Giovedì, 24 Ottobre 2024 - Ultima modifica: Mercoledì, 19 Febbraio 2025
torna all'inizio