Nella decisione della Corte di Giustizia si stabilisce che l’art 10 par. 2 e 3 lettera a) della direttiva 86/2003 deve essere interpretato avendo sempre considerazione del superiore interesse del minore e perseguendo, in base alle condizioni precipue, il ricongiungimento familiare con il minore rifugiato in uno Stato membro dell’Unione europea.
Corte di Giustizia UE – CR, GF e TY v. Austria: ricongiungimento familiare di un rifugiato minore in uno Stato membro
30 gennaio 2024
La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea verte su alcune questioni sollevate dal giudice del rinvio austriaco a seguito al rigetto della domanda di ricongiungimento familiare presentata da RI, rifugiato minorenne in Austria, e dai suoi genitori.
In particolare l’autorità austriaca aveva rigettato tale richiesta principalmente a causa del fatto che fosse pervenuta tre mesi e un giorno dopo l’ottenimento dello status di rifugiato da parte del minore trasferitosi in Austria. Le questioni poste dal giudice del rinvio vertono, infatti, in primo luogo sul termine di tre mesi per la proposizione della domanda di ricongiungimento familiare e su quali debbano essere i criteri per calcolare tale termine. Il giudice austriaco chiede, in secondo luogo, alla Corte, se il permesso di soggiorno debba essere riconosciuto anche a fratelli e sorelle, seppur maggiorenni, le cui condizioni di salute non permettano che vengano lasciati nel paese d’origine e, infine, se uno Stato membro possa subordinare il ricongiungimento familiare al soddisfacimento di alcuni requisiti di carattere economico indicati dall’art 7 par. 1 della direttiva 2003/86.
La disciplina del ricongiungimento familiare si trova nella direttiva 2003/86 e il caso in esame, dal momento che riguarda un soggetto avente status di rifugiato, è sussumibile nell’art 10, par. 2 e 3, lett. a) (par. 9).
A seguito delle questioni poste dal giudice del rinvio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea stabilisce che la domanda per il ricongiungimento familiare, qualora posta nel momento in cui il soggetto avente status di rifugiato nello Stato membro era ancora minorenne, non debba soggiacere al limite temporale di tre mesi a partire dal conferimento di detto status come invece era previsto dall’art. 12, par. 1 (par. 43).
La direttiva indica le condizioni di esercizio del diritto al ricongiungimento familiare prevedendo una generale discrezionalità in capo agli Stati, ex artt. 2 e 5. Tale discrezionalità viene meno, invece, quando si tratti di persone che godono dello status di rifugiati, e in modo particolare per i minori non accompagnati (art. 10, par. 3, lett. a)). Tali soggetti devono essere minorenni nel momento dell’ingresso nello Stato membro, non per tutta la durata della procedura; altrimenti si subordinerebbe l’esercizio del diritto al ricongiungimento famigliare alla maggiore o minore celerità dell’amministrazione competente (par. 35).
La Corte, poi, evidenzia come, prendendo in considerazione la sentenza C-550/16 che già riconosceva le condizioni più favorevoli applicabili al caso previsto dall’art 10, par. 2 e 3, lett. a), i giudici ritenessero che questo beneficio non potesse essere esercitato senza un limite temporale (par 39). Doveva esserci un termine ragionevole per evitare il rischio che la richiesta venisse formulata senza limiti di tempo anche quando il soggetto rifugiato fosse divenuto maggiorenne già durante la procedura per la richiesta di asilo (par. 37). Il termine ragionevole è stato identificato in tre mesi a partire dal giorno in cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato al minore (art 12, par. 1). Nel presente caso, la Corte offre un’interpretazione diversa e dichiara che questo rischio non sussiste nel caso in cui il soggetto diventi maggiorenne nel corso della procedura di ricongiungimento familiare, a patto che non lo fosse al momento di presentazione della relativa domanda. Ne consegue che il termine di tre mesi va calcolato, non dall’ottenimento dello status di rifugiato, ma dal compimento della maggiore età (par. 40).
La Corte poi analizza l’art. 10, par.3 della direttiva 2003/86, il quale prevede il diritto al ricongiungimento familiare per gli ascendenti (par. 51). La condizione della sorella maggiore del minore rifugiato, affetta da paralisi cerebrale, impedisce in maniera assoluta ai genitori di lasciarla nel paese d’origine, seppur maggiorenne, per ricongiungersi con il figlio rifugiato minore in Austria (par. 54). Ne consegue che, qualora non fosse concesso anche a lei di godere del ricongiungimento familiare, i genitori sarebbero privati de facto del loro diritto (par. 55 e 56), situazione incompatibile con l’obbiettivo perseguito dalla direttiva in oggetto e con i principi sanciti dagli artt. 7 (rispetto della vita privata e familiare) e 24 (interesse superiore del minore) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (par. 57). È, infatti, alla luce di questi principi che vanno interpretate le disposizioni della direttiva 2003/86, e ciò anche in relazione al considerando n. 2 e l’art 5 par. 5 della stessa, che impongono che le domande di ricongiungimento debbano essere esaminate nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita famigliare. Ne consegue che, per consentire ai genitori l’effettivo esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, il permesso di soggiorno debba essere rilasciato anche a fratelli e sorelle maggiorenni, qualora siano gravemente malati e non possano godere di una rete di sostegno nel paese d’origine (par. 61).
Infine, l’attenzione della Corte si concentra sulla necessità dell’adempimento delle condizioni previste dall’art. 7, par 1 della direttiva 2003/86. Tale articolo prevede che lo Stato membro possa subordinare il ricongiungimento familiare alla dimostrazione che il soggiornante disponga di un alloggio conforme alle norme di sicurezza e salubrità, di un’assicurazione medica per sé e per i suoi familiari e di risorse stabili e regolari per mantenere se stesso e i suo familiari (par. 62). Gli stessi giudici della Corte evidenziano, però, come per un minore rifugiato sarebbe praticamente impossibile soddisfare le suddette condizioni e parimenti lo sarebbe per gli ascendenti prima di raggiungere il paese membro (par. 77). Ne consegue che permettere ad uno Stato membro di condizionare il ricongiungimento familiare all’adempimento delle citate condizioni equivarrebbe, di fatto, a privare i soggetti del loro diritto (par. 78 e 80).
Il testo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.