La Corte di Giustizia ha stabilito che l’obesità può essere considerata un handicap, secondo la nozione della direttiva 2000/78/CE, sul divieto di discriminazioni fondate sulla disabilità.
Corte di Giustizia UE - FOA v. KL: definizione di handicap e disabilità
18 dicembre 2014
Il rinvio pregiudiziale sorge nell’ambito di una controversia tra una pubblica amministrazione danese e il signor Kaltoft, che lavorava alle dipendenze dell’ente locale come babysitter. Fra le parti del procedimento principale è pacifico che, durante l’intero periodo nel corso del quale il sig. Kaltoft è stato alle dipendenze del Billund Kommune, questi fosse «obeso», ai sensi della definizione fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), essendo l’obesità iscritta nella categoria E66 della classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati dell’OMS (CIM 10).
Il ricorrente aveva cercato di perdere peso e l’amministrazione, nell’ambito della sua politica sanitaria, gli aveva fornito assistenza finanziaria tra il gennaio 2008 e il gennaio 2009 affinché potesse frequentare corsi di fitness o praticare altre attività fisiche. Dopo un periodo di assenza dal lavoro per un anno, per motivi familiari, il ricorrente aveva ricevute numerose visite da parte del responsabile di area, durante le quali veniva appurato che il signor Kaltoft, nonostante l’assistenza fruita dal datore di lavoro, non aveva perso peso. Il ricorrente veniva, poi, licenziato per le esigenze di riduzione del personale della pubblica amministrazione dalla quale dipendeva.
La questione pregiudiziale verte sull’interpretazione della definizione di disabilità, ai sensi della direttiva 2000/78/CE, che prevede misure volte ad evitare le discriminazioni sul lavoro. La Corte osserva che la direttiva non menziona l’obesità quale motivo autonomo di discriminazione. Tuttavia, con riguardo alla definizione di disabilità sottolinea quanto segue:
«In seguito alla ratifica, da parte dell’Unione, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata, a nome della Comunità europea, con la decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (GU 2010, L 23, pag. 35), la Corte ha considerato che la nozione di «handicap» deve essere intesa, ai sensi della direttiva 2000/78, nel senso che essa si riferisce ad una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori».
«Tale nozione di «handicap» dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce non soltanto ad un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, ma altresì ad un ostacolo a svolgere una simile attività. Un’interpretazione diversa sarebbe incompatibile con la finalità di questa direttiva, che mira segnatamente a garantire che una persona con disabilità possa accedere ad un lavoro e/o svolgerlo».
«Si deve constatare che lo stato di obesità non costituisce, in quanto tale, un «handicap», ai sensi della direttiva 2000/78, in quanto, per sua natura, non ha quale conseguenza necessaria l’esistenza di una limitazione come quella prevista al punto 53 della presente sentenza».
«Per contro, nell’ipotesi in cui, in determinate circostanze, lo stato di obesità del lavoratore interessato comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta malattia può ricadere nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78».
«Tale sarebbe il caso, in particolare, se l’obesità del lavoratore ostasse alla sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale sulla base di uguaglianza con gli altri lavoratori in ragione di una mobilità ridotta o dell’insorgenza, in tale persona, di patologie che le impediscono di svolgere il suo lavoro o che determinano una difficoltà nell’esercizio della sua attività professionale».
Spetta quindi al giudice del rinvio valutare se nel caso di specie l’obesità del ricorrente abbia determinato una limitazione che ha condizionato la sua partecipazione attiva al lavoro.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.