Il ricorso, avente ad oggetto domanda di pronuncia pregiudiziale, verte sull’interpretazione degli articoli 2, lett. e) e f), 15, 18, 20 (3), 28 e 29 della direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.
Corte di Giustizia UE – Mohamed M’Bodj v. Belgio: ambito di applicazione della direttiva 2004/83/CE in riferimento al cittadino di un Paese terzo affetto da gravi problemi di salute
18 dicembre 2014
La sentenza della Corte di Giustizia ha origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dalla Corte costituzionale belga nel quadro della controversia insorta tra il sig. M'Bodj, cittadino mauritano, arrivato in Belgio nel 2006 e dal 2010 autorizzato a soggiornarvi a tempo indeterminato a causa delle sue condizioni di salute, e lo Stato belga, in merito al rigetto, da parte del Servizio pubblico federale Sicurezza Sociale della sua domanda diretta ad ottenere assegni sostitutivi dei redditi e assegni integrativi.
Più precisamente, il giudice nazionale ha chiesto alla Corte di Giustizia se gli articoli 28 e 29 della direttiva 2004/83/CE, i quali prevedono l’attribuzione di prestazioni di assistenza sociale e l’accesso all’assistenza sanitaria ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, letti congiuntamente agli articoli 2, lettera e), 3, 15 e 18, si debbano interpretare nel senso che uno Stato membro è tenuto a concedere l’assistenza sociale e sanitaria ad un cittadino di un paese terzo, autorizzato a soggiornare nel territorio di tale Stato membro ai sensi di una normativa nazionale (cfr. legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, sul soggiorno, sullo stabilimento e sull’allontanamento degli stranieri), la quale autorizza il soggiorno dello straniero affetto da una malattia che comporti un rischio effettivo per la vita o l’integrità fisica o un rischio effettivo di trattamenti inumani o degradanti, qualora non vi sia alcuna terapia adeguata nel paese d’origine o nel paese terzo in cui risiedeva in precedenza (par. 25).
Nel risolvere la questione avanzata dal giudice belga, la Corte di giustizia ha innanzitutto precisato come gli articoli 28 e 29 della direttiva 2004/83 si debbano applicare esclusivamente ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria.
Potendosi pacificamente escludere che la legge belga abbia ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è consentito in base ad essa (par. 27), la Corte ha quindi valutato se, a titolo della normativa nazionale in questione, il loro permesso di soggiorno implichi il riconoscimento della seconda forma di protezione, quella sussidiaria.
Al riguardo, la Corte ha ricordato come, ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2004/83/CE, i tre tipi di “danno grave” che costituiscono il presupposto per poter beneficiare della protezione sussidiaria sono, rispettivamente, la condanna a morte o l’esecuzione (lett. a); la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine (lett. b); la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (lett. c).
Secondo il ragionamento della Corte appare evidente come i rischi di deterioramento dello stato di salute di un cittadino di un paese terzo, i quali non derivino da una privazione di assistenza sanitaria inflittagli intenzionalmente, non rientrino nell’articolo 15 della direttiva in questione (par. 31). Ne consegue, quindi, che la questione pregiudiziale sollevata può essere così risolta: “(…) uno Stato membro non è tenuto a concedere l’assistenza sociale e l’assistenza sanitaria previste da tali articoli ad un cittadino di paese terzo autorizzato a soggiornare nel territorio di tale Stato membro in base ad una normativa nazionale (…), la quale prevede che in detto Stato membro sia autorizzato il soggiorno dello straniero affetto da una malattia che comporti un rischio effettivo per la vita o l’integrità fisica o un rischio effettivo di trattamenti inumani o degradanti, qualora non esista alcuna terapia adeguata nel paese d’origine di tale straniero o nel paese terzo in cui egli risiedeva in precedenza, senza che si configuri una privazione di assistenza sanitaria inflitta intenzionalmente al predetto straniero in tale paese” (par.47).
Qui il testo integrale della sentenza.