La Corte di Giustizia dell’UE si è pronunciata su quattro questioni pregiudiziali sollevate nel corso di una controversia tra X e il Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza dei Paesi Bassi). Il giudice del rinvio interroga la Corte circa l’interpretazione della Direttiva 2008/115/CE, in tema di rimpatrio di cittadini stranieri il cui soggiorno sul territorio dello Stato membro è irregolare, alla luce degli artt. 1, 4, 7 e 19, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Corte di Giustizia UE – X v. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid: rimpatrio di un cittadino straniero gravemente malato che beneficia di una cura medica non disponibile nel Paese d’origine
22 novembre 2022
I fatti di causa riguardano un cittadino russo malato di cancro e curato nei Paesi Bassi mediante una terapia che prevede la somministrazione della cannabis. Essendo la terapia in questione vietata nel paese d’origine, e a seguito del rifiuto da parte delle autorità olandesi di accogliere la domanda d’asilo, il ricorrente aveva chiesto la sospensione dell’ordine di rimpatrio, ma pure tale istanza era stata respinta dal Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid.
Per quanto concerne le prime due questioni, la Corte stabilisce che la Direttiva impedisce di adottare un provvedimento di rimpatrio nei confronti di un cittadino straniero gravemente malato e con soggiorno irregolare “allorché sussistono gravi e comprovati motivi per ritenere che, in caso di rimpatrio, l’interessato possa essere esposto, nel Paese terzo verso il quale verrebbe allontanato, al rischio reale di un aumento significativo, irrimediabile e rapido del suo dolore, a causa del divieto, in tale Paese, della sola terapia analgesica efficace”, e in aggiunta che non è possibile “stabilire un termine fisso entro il quale siffatto aumento debba concretizzarsi affinché esso possa essere d’ostacolo a tale decisione di rimpatrio o tale misura di allontanamento” (par. 76).
Sebbene sia prerogativa di ogni Stato membro la facoltà di allontanare dal proprio territorio un cittadino straniero irregolare, l’art. 5 della Direttiva in oggetto, in conformità con gli artt. 1, 4 e 19, par. 2, della Carta, impone di rispettare il principio di non-refoulement, in base al quale nessun individuo può essere rimpatriato ove esistano seri e comprovati motivi tali da ritenere che il soggetto coinvolto corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti nel Paese di destinazione.
Dal momento che i diritti tutelati nell’art. 4 della Carta corrispondono a quelli dell’art. 3 CEDU, si richiama l’orientamento interpretativo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in base al quale l’aggravamento del dolore fisico derivante dalla sospensione della terapia, interruzione imposta dall’obbligo di rimpatrio, è da considerarsi un trattamento inumano e degradante, allorché sia superato un livello minimo di gravità. Tale soglia è integrata nel caso di un declino rapido e irreversibile della salute, anche mentale, con conseguente aumento delle sofferenze fisiche e una significativa riduzione delle aspettative di vita (Paposhvili v. Belgio; Savran v. Danimarca). Benché a prima vista l’allontanamento del ricorrente sembrerebbe condurre unicamente a una maggiore sofferenza fisica, la Corte reputa che il livello minimo di intensità possa comunque essere superato qualora l’accrescimento del dolore porti a un decadimento grave e irreversibile della salute psichica, finanche a indurre il soggetto al suicidio.
Con la terza questione il giudice del rinvio domanda se gli artt. 5 e 9, par. 1, lett. a) della Direttiva impediscano di emettere un provvedimento di allontanamento fondato esclusivamente sull’evidenza che le condizioni di salute del cittadino straniero gli permettano di viaggiare. Visto quanto disposto sulle questioni precedenti, la Corte afferma che l’interpretazione data dal giudice nazionale è condivisibile, essendo sempre necessario valutate le ripercussioni che la procedura di rimpatrio potrebbe avere sulla salute del soggetto coinvolto, sia nel momento dell’allontanamento sia nel corso della permanenza del soggetto nel Paese di destinazione.
Con l’ultima questione la Corte valuta se lo stato di salute e le cure mediche siano elementi sufficienti ad imporre il riconoscimento del diritto di soggiorno al cittadino di uno stato terzo. Posto che il fine della Direttiva è creare una politica di rimpatrio che tuteli i diritti fondamentali degli individui, e che ciò esula quindi dal tema dell’attribuzione del permesso di soggiorno, si ricorda altresì che, nell’applicare il diritto dell’Unione, gli Stati membri sono sempre tenuti a rispettare i principi enucleati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Nella fattispecie sovviene anzitutto la tutela della vita privata e familiare di cui all’art. 7, ambito nel quale ricadono anche l’integrità fisica e psichica, elementi che contribuiscono ad influenzare la realizzazione personale dell’individuo, intesa come la possibilità di instaurare rapporti interpersonali.
La Direttiva non impone dunque il rilascio del permesso di soggiorno in favore di un cittadino straniero irregolare, gravemente malato e che non possa essere rimpatriato per gravi motivi legati alla sua salute. Ciononostante, è doveroso che l’autorità nazionale competente valuti, ai sensi dell’art. 7 della Carta, se l’obbligo di rimpatrio sia compatibile con il diritto alla vita privata e familiare, anche tenendo conto delle condizioni di salute e le cure che l’individuo riceverà nel paese di destinazione. In ogni caso tale diritto non è violato, e quindi non osta all’adozione del provvedimento di allontanamento, ove non sia integrata la soglia minima di gravità di cui all’art. 4 della Carta, alla luce dell’interpretazione resa dalla Corte nella presente sentenza.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.