La Corte di Strasburgo, analizzando i dati scientifici forniti dalle stesse autorità italiane, ha certificato la sussistenza di una situazione di pericolo a causa della prolungata e non corretta gestione dei rifiuti nella regione Campania, con il relativo aumento e rischio di danni alla salute per i residenti nella zona e ha riscontrato una violazione dell'art. 8 CEDU.
Corte europea dei diritti dell’uomo – Locascia e altri c. Italia: violazione dell’art 8 CEDU a causa della mancante o incorretta gestione dello smaltimento dei rifiuti in Campania
19 ottobre 2023
La vicenda oggetto di giudizio trae origine da alcuni fatti che possono essere collocai in due archi temporali distinti, un primo che va dal 1994 al 2009 e un secondo tra il 2010 e il 2020. Nel primo periodo è pacifica la presenza di uno stato di emergenza nella regione Campania dovuta a problemi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, tanto che la questione era già stata analizzata dalla Corte nella sentenza Di Sarno e altri c. Italia n. 30765/2008. All’epoca la situazione era a tal punto problematica che periodicamente i rifiuti si accumulavano per le strade a causa dell’interruzione nella loro raccolta e venivano bruciati rilasciando nell’ambiente ingenti quantità di diossine (par. 9). Questo fatto, oltre a creare evidenti disagi dovuti ai miasmi insopportabili, dava origine ad emergenze sanitarie tanto da indurre le autorità competenti a chiudere ripetutamente scuole e negozi tra il 2007 e il 2008.
A partire dal 2010, in seguito all’adozione di misure volte a velocizzare la costruzione di centrali elettriche alimentate con combustibile derivato da rifiuti, termina lo stato di emergenza (par. 11). Purtroppo, però, i provvedimenti necessari all’implementazione di una corretta gestione dei rifiuti non vengono portati a termine e a volte nemmeno iniziati. Conferma di ciò si ha da un precedente giudizio della Corte di Giustizia Europea nel 2015 (caso - C-653/13) nel quale si afferma che le autorità italiane, laddove hanno agito, hanno comunque fallito nel creare un’adeguata rete di gestione dei rifiuti e non hanno ottemperato agli obblighi assunti (par. 21).
Nel frattempo, a livello nazionale e locale si sottolinea come la cattiva gestione stia procurando danni alla salute delle persone. Già in precedenza la commissione parlamentare aveva riscontrato che l’inquinamento da rifiuti aveva ormai contaminato il suolo e le falde acquifere, tanto che ne avrebbero risentito anche le generazioni future, raggiungendo il picco di conseguenze tra 50anni (par. 23).
Lo Stato italiano ha chiesto all’Organizzazione Mondiale della Sanità di condurre uno studio relativo all’impatto dei rifiuti sulla salute nelle provincie di Napoli e Caserta, da cui è emerso come, proprio l’area maggiormente interessata dalla gestione illegale dei rifiuti e la loro incontrollata combustione, fosse il luogo con il più alto tasso di malformazioni e tumori maligni (par. 24).
In parallelo, a partire dal 1993, per fronteggiare la situazione si era cercato di utilizzare centrali private per lo smaltimento dei rifiuti. A seguito di alcune indagini era, però, risultato che la centrale di smaltimento dell’area definita “Lo Uttaro” si discostava molto dalle autorizzazioni di cui disponeva, al punto che l’inquinamento ambientale era arrivato ad essere talmente grave da ritenere che ormai un “disastro ambientale fosse perfettamente prevedibile” (par. 28). Anche in questo caso il piano di risanamento, nel 2020, risultava non ancora attuato.
Per i ricorrenti, quanto avvenuto e l’assenza di soluzioni, violano i diritti sanciti dagli artt. 2 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La Corte ritiene che, in accordo con la sua precedente giurisprudenza, l’elemento “cruciale” per stabilire se l’inquinamento ambientale ha leso i diritti tutelati dall’art. 8 è l’esistenza di un fatto dannoso per la sfera privata e familiare della persona e non semplicemente un generale peggioramento della salubrità dell’ambiente (par. 91). In virtù di quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte dichiara la questione ammissibile (par. 114).
Il Governo itaiano, pur riconoscendo la gravità della situazione e i rischi che essa porta, sostiene però che la situazione è molto migliorata a seguito della sentenza Di Sarno e altri c. Italia n. 30765/2008: sarebbero state prese “misure legislative e amministrative appropriate” per minimizzare l’impatto negativo dello smaltimento nella zona “Lo Uttaro” e sarebbe stato imposto un costante monitoraggio da parte di un ente specializzato (par. 119).
Le argomentazioni della Corte si articolano intorno a tre snodi principali: in primo luogo la lesione diretta dei diritti contenuti nell’art. 8 della CEDU, in secondo luogo la gestione dei rifiuti e infine se le condizioni della zona definita “Lo Uttaro” costituiscano una lesione dei diritti tutelati dalla Convenzione.
Per quanto riguarda il primo argomento la sentenza afferma esplicitamente che l’inquinamento ambientale può ledere il benessere della persona, ma costituisce lesione dell’articolo 8 solo se supera una certa soglia considerata in virtù di determinati fattori (par. 121). È difficile stabilire cosa sia effettivamente la “quality of life” e cosa possa peggiorarla procurando danni perché è difficile scindere tra gli effetti dell’inquinamento e altri importanti fattori che possono incidere negativamente sulla salute delle persone (come l’ereditarietà delle malattie o il fumo).
La Corte poi prosegue nel mostrare una linea applicativa dell’art. 8 che consiste, non solo in un obbligo negativo dello Stato di astenersi da interferenze arbitrarie, ma, anche, in un obbligo positivo di rispettare la vita privata e familiare tutelando le persone dai rischi prospettati. Tra queste misure si ricomprende, quindi, l’opportunità di garantire al pubblico l’accesso alle informazioni per valutare il rischio a cui è esposto, anche in conformità di quanto previsto dall’art. 5, comma 1, della Convenzione di Aarhus (par. 125).
Ciò che rileva è, come si evince dalle parole dei giudici, la connessione tra l’esposizione ai rifiuti e l’aumentato rischio di sviluppare patologie gravi e malformazioni, nonostante la presenza di altri fattori. Tale connessione era stata riscontrata in primo luogo dalla commissione parlamentare che aveva riconosciuto, seppur non se ne può stimare l’estensione esatta, una lesione per la salute dei cittadini con un danno incalcolabile per le generazioni future (par. 129). Partendo da questo elemento, la Corte conferma la violazione dell’art. 8 nel periodo 1994-2009 da parte dello Stato italiano perché non ha tutelato il benessere degli individui, senza che rilevi necessariamente l’assenza della determinazione dell’estensione esatta di tale lesione (par. 134).
Per quanto riguarda il secondo dei tre argomenti, la gestione dei rifiuti, la Corte di Strasburgo riconosce una propria giurisdizione non tanto nel valutare in astratto la gestione, ma nell’accertare in concreto se, in conseguenza di essa, derivi una violazione dell’Art 8 della Convenzione (par. 136). In modo particolare, dice che sebbene ci siano ancora circa 6 milioni di tonnellate di “ecoballe” da smaltire e che ci vorranno 15 anni dal momento della costruzione della centrale, questo aspetto non è sufficiente per dedurre una lesione di diritti dei cittadini e quindi non si ritine violato il suddetto articolo (par 138).
In fine, in riferimento alla centrale nella zona di “Lo Uttaro” si afferma la giurisdizione a livello europeo per la finalità, ancora una volta, di tutelare i vari interessi coinvolti. Nella sentenza emerge chiaramente come il grave stato di inquinamento fosse vuoto ad una gestione illegale dei rifiuti contraria alle autorizzazioni emesse dalla pubblica amministrazione locale; ad un’inattivazione delle autorità locali nonostante indicazioni di misure urgenti da parte di enti preposti al controllo (ARPAC) e ai ritardi in alcune procedure di smaltimento che avrebbero dovuto impiegare 90 giorni e invece si sono protratte per quasi 2 anni (par. 145).
L’inquinamento è così grave che sono tate dichiarate inutilizzabili le falde acquifere, in quanto continuerebbero a danneggiare l’ambiente e la salute umana (par. 147).
Agli occhi della Corte questa è una mancanza delle autorità italiane, che non hanno tutelato i cittadini nella loro sfera privata e familiare ledendo, ancora una volta, l’art. 8 della Convenzione (par. 151).
Il testo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download