Il Tribunale di Bologna ha rigettato la richiesta avanzata da una donna, dopo la morte del marito, di procedere all’impianto di embrioni creati sedici anni prima a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Tribunale di Bologna - ord. 21 maggio 2014: negata l'autorizzazione all’impianto di embrioni congelati sedici anni prima
21 maggio 2014
Nel 2012, alcuni mesi dopo la scomparsa del marito,una donna si presentava al Centro di fecondazione assistita del Policnico S. Orsola di Bologna per ottenere lo scongelamento e il trasferimento in utero di alcuni embrioni crioconservati dal 1996, quando con il marito aveva fatto ricorso – senza successo – alle tecniche di PMA. Nonostante il parere favorevole del Comitato di Bioetica dell’Università, la direzione sanitaria del Policlinico negava l’autorizzazione ad effettuare la prestazione richiesta.
Il Tribunale di Bologna rigetta la richiesta poiché nel caso di specie non si potrebbe rinvenire «una chiara, espressa, formale ed attuale volontà della coppia (…) di ricorrere alla p.m.a. come invece richiesto dalla l. n. 40/2004». L’attualità del consenso prestato dovrebbe infatti valutarsi «con riferimento al momento in cui entrambi i soggetti, coniugi o conviventi, esprimono per iscritto e congiuntamente la volontà consapevole».
I giudici notano che dal momento della manifestazione di volontà di accedere alle tecniche di PMA, per oltre un quindicennio, la coppia era rimasta inerte, senza più rivolgersi al Centro di procreazione.
L’entrata in vigore della legge 40, inoltre, aveva modificato il quadro giuridico di riferimento.
Secondo il dispositivo creato dalla legge e dalle linee guida, le coppie che avevano già ottenuto la formazione di embrioni erano libere di decidere se richiedere l’impianto oppure no e di farlo senza un preciso termine fissato dal legislatore, essendo richiesta – sia pure in termini di non rinuncia – una manifestazione di interesse
Da un lato, il consenso espresso dalla coppia nel 1996, «esauriti i propri effetti (salvi quelli riguardanti la conservazione degli embrioni), non era più valido ed efficace dopo la l. n. 40/2004 (…)»; dall’altro, «per accedere alla p.m.a. dopo il 10 marzo 2004, anche solo al fine di attivare unicamente la fase di applicazione della FIVET consistente nel transfer (…), i signori T. – V. avrebbero dovuto esprimere, congiuntamente e per iscritto, il c.d. consenso informato (… art. 6, 2° co.) una volta ricevute le informazioni che il medico, a norma dell’art. 6, 1° co., deve dare non solo “prima del ricorso” ma anche “in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”»
Secondo la ricorrente la morte del marito non potrebbe costituire una causa automatica di revoca del consenso. Secondo i giudici, nel caso in esame «si discute (non di un fatto - la morte del marito o del compagno - sopravvenuto nel corso di un procedimento fecondativo avviato dopo il 10 marzo 2004 e destinato a concludersi nell’arco di un breve tempo, ma) di un nuovo accesso alla p.m.a. (della richiesta di impianto di embrioni crioconservati formulata dalla sola vedova) dopo che un primo trattamento era già stato eseguito in tutte le sue fasi sino al trasferimento degli embrioni in utero (senza però ottenere la gravidanza) molti anni prima (più di quindici) ed in data anteriore a quella dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004».
I giudici si esprimono anche sulla previsione delle linee guida del 2004 (d.m. 21 luglio 2004) secondo la quale «la donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati», ricordando che essa vada necessariamente ricondotta al sistema delineato dalla legge n. 40/2004, «non potendo una fonte sottordinata regolare una fattispecie (e stabilire una disciplina) non prevista da (e incompatibile con) la regolamentazione introdotta da quella sovraordinata.
A quella proposizione non può darsi un valore assoluto: si finirebbe altrimenti per giungere ad un risultato sicuramente precluso dalla l. n. 40/2004, ossia quello di ritenere legittimo il trasferimento intrauterino su richiesta della “singola donna” (cfr. l’art. 1, 2° co., lett. a), d.m. 4 agosto 2004) degli embrioni prodotti prima della l. n. 40/2004, quando invece il legislatore italiano consente l’accesso alla p.m.a. solo alle coppie».
Il ricorso è rigettato.
La decisione adottata in via d'urgenza è stata riformata dal Tribunale nel gennaio 2015.