Il Tribunale di Cagliari ha accolto il ricorso di una coppia di coniugi, la moglie affetta da talassemia major e il marito portatore sano della stessa patologia, che si erano visti negare l’accesso alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto (DGP).
Tribunale di Cagliari - ordinanza 5925/2012: diritto all'accesso alla diagnosi genetica preimpanto
9 novembre 2012
Il giudice ha riconosciuto il diritto della coppia «ad ottenere, nell'ambito dell'intervento di procreazione medicalmente assistita, l'esame clinico e diagnostico sugli embrioni e il trasferimento in utero […] solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui gli stessi ricorrenti risultano affetti». Il Tribunaleha inoltre ordinato al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di Cagliari di eseguire l'esame clinico e diagnostico sugli embrioni, prevedendo che «qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell'impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione possa essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie».
Fra le altre ragioni, il giudice individua un argomento a favore dell'accoglimento del ricorso nella recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo di Strasburgo (28 agosto 2012) nel caso Costa e Pavan contro Italia, nel quale «i ricorrenti, portatori sani di fibrosi cistica, avevano richiesto di poter accedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto pur non essendo una coppia sterile, presupposto richiesto dalla legge n. 40 del 2004».
In quel caso il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto, ritenuta dal Governo italiano applicabile a qualsiasi categoria di persone, era stato giudicato incoerente, data la possibilità offerta alle coppie di procedere in un momento successivo ad un aborto terapeutico qualora il feto risulti malato.
Il giudice di Cagliari ritiene che «la Corte di Strasburgo abbia sostanzialmente posto in evidenza che alla possibilità di eseguire diagnosi prenatali, al fine di tutelare la salute della donna, consegua necessariamente, a pena di incoerenza del sistema, l'ammissibilità sempre per il medesimo scopo, della diagnosi preimpianto, che appare […] indispensabile per il fermarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa, riconosciuta dallo stesso art. 6 della legge n. 40 del 2004 [relativo al consenso informato]».
La liceità della diagnosi preimpianto, in questa ricostruzione, rappresenterebbe «la logica conseguenza del diritto ad una adeguata informazione», fondamento dell’espressione di un libero consenso.
L'ordinanza ancora la sussistenza del diritto all’accesso alla DGP, già riconosciuta dalle pronunce del Tribunale di Firenze del 17 dicembre 2007 e del Tribunale di Bologna del 29 giugno 2009, ai principi richiamati dalla sentenza della Corte Costituzionale dell'8 maggio 2009, n. 151.
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