Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c. la ricorrente ha rappresentato come la propria identità di genere fosse andata definendosi sin dall’infanzia in senso maschile, conducendola, dopo aver ottenuto il divorzio dal marito (padre delle figlie minori), ad iniziare il programma per la riassegnazione del genere sottoponendosi alla terapia ormonale.
Tribunale di Cuneo – sent. 203/2024: rettifica degli atti di stato civile, autorizzazione agli interventi e non obbligatorietà del previo adeguamento chirurgico del sesso
23 febbraio 2024
Dagli atti della relazione clinica prodotta in giudizio, risultava che la ricorrente presentasse una disforia di genere, manifestatasi sin dall’infanzia e presumibilmente irreversibile, e che vivesse il ruolo di genere maschile in contesti familiari, sociali e professionali.
Il Tribunale ritiene quindi che non sussistano controindicazioni agli interventi di affermazione chirurgica del genere contestualmente al cambio del nome e del genere, essendo la paziente consapevole dei vantaggi e degli svantaggi derivanti da tali interventi chirurgici e avendo la stessa come prospettiva un miglioramento della qualità della propria vita; si riconosce inoltre che la ricorrente fosse consapevole dell’irreversibilità e dei rischi del percorso intrapreso.
Alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della Corte Cassazione (sent. 15138/2015) relativa alla L.n. 164/1982 “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, per ottenere la rettifica del sesso nei registri dello stato civile non è obbligatorio l’intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari; “Essendo l’identità di genere un diritto inviolabile che compone il profilo personale e relazionale di un individuo e dovendosi operare un bilanciamento tra l’interesse pubblicistico alla chiarezza dell’identificazione anagrafica e quello personale a non sottoporsi a trattamenti chirurgici ingiustificati e discriminatori”.
Il giudizio richiama la sent. n. 221 del 2015, con la quale la Corte costituzionale ha chiarito che la mancanza di un riferimento testuale alle modalità con le quali debba realizzarsi la modificazione dei caratteri sessuali escluda la necessità dell’intervento chirurgico per ottenere l’autorizzazione alla rettificazione anagrafica, dovendosi rimettere al singolo la scelta su come realizzare il proprio percorso di transizione.
Nel caso di specie gli elementi raccolti costituiscono prova della serietà e definitività della scelta di cambiare il proprio genere da femminile a maschile, a prescindere dalla sottoposizione al trattamento chirurgico per il quale comunque si è chiesta l’autorizzazione.
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