Il Giudice per le indagini preliminari di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p., come modificato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019, nella parte in cui subordina la non punibilità di chi agevola il suicidio altrui alla circostanza che la persona che chiede di attuare il proposito suicidario sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. La Corte è chiamata a chiarire se possa applicarsi la fattispecie di suicidio medicalmente assistito anche nell’ipotesi in cui il paziente non fosse tenuto in vita da un trattamento sanitario vitale in quanto il trattamento offerto sia stato rifiutato dal paziente in quanto futile o inutile perché espressivo di accanimento terapeutico secondo la scienza medica e non dignitoso secondo la sensibilità e percezione del malato.
Tribunale di Milano – ord. 21 giugno 2024: questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p. come modificato dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale (casi E.A. e R.N.)
21 giugno 2024
I fatti e la richiesta di archiviazione della Procura di Milano
La pronuncia del GIP di Milano origina dalle vicende di due soggetti, E.A. e R.N., rispettivamente affetti da microcitoma polmonare (una patologia oncologica molto grave) e da una forma di Parkinsonismo atipico (una grave malattia neurodegenerativa), i quali decidono di sottoporsi alla procedura medicalizzata di assistenza al suicidio in Svizzera, accompagnati lì da Marco Cappato.
In Italia, infatti, non avrebbero potuto essere autorizzati a tale procedura in quanto, pur essendo dipendenti da una assoluta e completa assistenza da parte di terzi, non erano considerati dipendenti da «trattamenti di sostegno vitale» e, pertanto, non veniva ad essere integrata una delle quattro condizioni stabilite dalla Corte costituzionale nella sent. 242/2019 per escludere la punibilità dell’art. 580 c.p.
In seguito a tali fatti, Marco Cappato si è autodenunciato per l’aiuto fornito ad E.A. e a R.N. nel raggiungere la clinica svizzera, fatti per i quali, però, la Procura della Repubblica di Milano ha chiesto l’archiviazione, ritenendo che gli stessi rientrassero nell’area di non punibilità dell’art. 580 c.p. come circoscritta dalla Corte costituzionale.
La Procura di Milano, infatti, suggerisce un’interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo e giurisprudenziale come finora qui richiamato ed, in particolare, ritiene che rientrino nell’ambito di non punibilità delineato dalla Corte anche i casi in cui – in presenza di tutti gli ulteriori requisiti – «il paziente non sia tenuto in vita per mezzo di trattamenti di sostegno vitale, in quanto egli stesso rifiuti trattamenti che – sì – rallenterebbero il processo patologico e richiederebbero la morte senza poterla impedire, ma sarebbero futili o espressivi di accanimento terapeutico secondo la scienza medica, non dignitosi secondo la percezione del malato, e forieri di ulteriori sofferenze per coloro che lo accudiscono» (foglio nr. 43 della richiesta di archiviazione).
Nel caso di E.A. e R.N., infatti, le consulenze tecniche hanno messo in evidenza come l’attivazione di trattamenti sanitari non solo non avrebbe provocato un efficace contrasto alla patologia e la morte sarebbe comunque sopraggiunta inesorabilmente, ma avrebbe ingenerato nei pazienti atroci sofferenze tali «[...] da rendere gli ultimi giorni di vita infernali» (p. 19 della decisione del GIP di Milano). L’unico modo che avevano i pazienti di accedere al suicidio assistito era dunque quello di iniziare un trattamento sanitario che ab origine sarebbe stato inutile secondo quanto indicato dai medici, per poterlo poi interrompere (p. 21 cit.).
Nel caso in cui però il Giudice ritenga di non accogliere l’interpretazione proposta, la Procura in via subordinata chiede di rimettere nuovamente gli atti dinnanzi alla Corte costituzionale perché si pronunci sul contrasto tra il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, inteso in senso restrittivo, e l’art. 3 Cost.
La decisione del GIP di Milano
Il Giudice, dopo una ricostruzione dei fatti, delle risultanze istruttorie, nonché del quadro normativo in materia di fine vita oggi vigente in Italia, ritiene che la lettura costituzionalmente orientata suggerita dalla Procura non possa accogliersi.
I pubblici ministeri, infatti, secondo il Giudice, ritengono equivalenti tramite applicazione analogica due presupposti differenti, ovvero il rifiuto di un trattamento sanitario vitale in atto e di cui si richiede l’interruzione e la prospettazione di un trattamento sanitario futile o inutile in quanto espressione di accanimento terapeutico, tuttavia mai iniziato.
Si ricorda infatti l’importanza, in una scriminante cd. “procedurale” come quella delineata dalla Corte costituzionale in cui il bilanciamento degli interessi non avviene ex post dal singolo giudice ma ex ante essendo legato ad una procedura di controllo, dell’ancoraggio alla L. n. 219/2017, legge che, tuttavia, non consente al medico di mettere a disposizione del paziente che rifiuta un trattamento sanitario trattamenti diretti non ad alleviare il dolore ma a provocarne la morte (p. 17).
Ciò premesso, il GIP ritiene comunque fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Procura e ritiene necessario che la Corte costituzionale chiarisca se possa applicarsi la fattispecie di suicidio medicalmente assistito anche nell’ipotesi in cui il paziente non fosse tenuto in vita da un trattamento sanitario vitale in quanto il trattamento offerto sia stato rifiutato dal paziente in quanto futile o inutile perché espressivo di accanimento terapeutico secondo la scienza medica e non dignitoso secondo la sensibilità e percezione del malato.
Le norme che attualmente risulterebbero violate sono:
- L’art. 3 Cost. nella misura in cui la situazione allo stato crea un’irragionevole disparità di trattamento tra chi è dipendente da un trattamento di sostegno vitale e chi, invece, non ha voluto iniziarlo in quanto ritenuto inutile e foriero di ulteriori sofferenze. Secondo il GIP, infatti, entrambi gli appartenenti a queste due categorie si trovano nella medesima prospettiva descritta e valorizzata dalla Corte e la differenza del trattamento a cui sono sottoposti sono fattori del tutto accidentali che dipendono dalla patologia da cui il soggetto è affetto;
- Gli artt. 2, 13, 32 Cost. in quanto si avrebbe una violazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche nel senso di limitarne l’esercizio imponendogli un’unica modalità di congedo alla vita nonché la lesione della dignità di uomo e di persona;
- Gli artt. 8 e 14 Cedu.
Alla luce di ciò, il GIP dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 580 c.p. nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita per violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 con riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU.
Il testo completo della pronuncia del GIP e della richiesta di archiviazione della Procura sono disponibili nel box download.
A questo link il nostro Dossier in tema di disciplina di fine vita in Italia.
Sul tema del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, vedi anche:
- Tribunale di Firenze – ord. 17 gennaio 2024: questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p. come modificato dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale;
- Corte costituzionale – sent. n. 135/2024: la Corte chiarisce la portata del requisito della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale” richiesto per la procedura di assistenza al suicidio;
- Tribunale di Trieste – ordinanza 16 luglio 2024: condanna all’accertamento dei presupposti per il suicidio medicalmente assistito nel caso di Martina Oppelli;
- Corte d’assise di Massa, caso Trentini: la dipendenza costante da cure mediche e l’assistenza permanente nell’espletamento di una funzione organica integrano la condizione della dipendenza dai “trattamenti di sostegno vitale” di cui alla sent. 242/2019 de;
- Comitato Nazionale per la Bioetica – Risposta al quesito del Comitato etico della Regione Umbria in merito alla corretta individuazione di un trattamento di sostegno vitale (TSV)