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Tribunale di Trento - sent. 4 dicembre 2024: inapplicabilità della legge di cittadinanza e autorizzazione del Tribunale al trattamento chirurgico e rettificazione di attribuzione del sesso
24 dicembre 2024

Il Tribunale di Trento stabilisce l’inapplicabilità della legge di cittadinanza straniera a difesa dei diritti personali dell’individuo qualora la stessa si dimostri contraria all’ordine pubblico nazionale. Nel caso in esame, infatti, si rileva una discrasia tra disciplina brasiliana e italiana in materia di cambiamento di attribuzione di sesso nei certificati di stato civile. 

Inoltre, in ossequio a quanto stabilito dalle precedenti pronunce della Corte Costituzionale - segnatamente sent. 221/2015, 180/2017 e 143/2024 - e dalla sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 2015 n. 15138, il Tribunale afferma la non necessità di modificazione chirurgica dei tratti sessuali ai fini del riconoscimento della rettificazione del genere. Da ciò consegue, inoltre, una dichiarata irragionevolezza dell’obbligo di autorizzazione da parte del Tribunale necessario per procedere all’intervento di riassegnazione del sesso, in tutti quei casi in cui quest’ultimo si svolga a seguito della già riconosciuta rettifica del nome e del genere dell’individuo.  

Anno
2024

Nel caso di specie, il ricorrente chiede al Tribunale di Trento la modificazione di attribuzione di sesso, da femminile a maschile, nei registri di stato civile.

Viene presentata, poi, un’ulteriore domanda finalizzata all'ottenimento dell’autorizzazione all’esecuzione di un intervento chirurgico di modifica del sesso. 

Il soggetto, di origine brasiliana, chiede, a tal fine, l’applicazione della propria legge nazionale, sulla scorta dell’art. 24 legge del 1995 n. 218, in cui viene stabilito che i diritti personali debbano essere regolati dalle disposizioni appartenenti all’ordinamento nazionale del titolare.
Lo stesso domanda, in questo modo, che sia attuata la rettificazione del genere senza la necessità di altro presupposto oltre alla propria volontà, come viene, in effetti, ammesso dalla Corte Apicale del Sistema Federale Brasiliano, nel silenzio della legge. In accordo con il riconosciuto principio di autodeterminazione della persona rispetto alla propria identità di genere, inoltre, non è previsto in Brasile neanche l’obbligo di autorizzazione da parte del Tribunale per procedere ad un trattamento medico di modificazione dei tratti sessuali primari.

Il Tribunale di Trento eccepisce, in merito a quest’ultima richiesta, il principio di cui all’art. 16 L. 218/1995, secondo il quale non è da ritenersi applicabile la legge straniera ogni qualvolta i suoi effetti risultino in contrasto con l’ordinamento pubblico italiano. 

Al fine di comprendere il contrasto tra la disciplina brasiliana così delineata e le regole vigenti in Italia, risulta necessario, secondo il Tribunale, offrire un quadro dell’ordinamento nazionale. 

In primo luogo, viene fatto riferimento all’art. 1 della L. 164/1982, in cui viene sancito che “la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali.” 

A partire da questo testo legislativo è stato dato adito a due differenti interpretazioni: l’una, maggiormente restrittiva, che considerava rientranti nella qualifica di “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali” solo i trattamenti chirurgici di riassegnazione del sesso; l’altra che, al contrario, riteneva riconducibile a tale locuzione qualsiasi intervenuto cambiamento del genere che risultasse espressivo del percorso individuale ed irreversibile di transizione, a prescindere dalla presenza di un trattamento di tipo medico. 

A fronte di un progressivo avallo da parte della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, è ormai da ritenersi pacifica l’adesione a questa seconda interpretazione dell’articolo. Conformemente a ciò, quindi, l’intervento chirurgico non è da considerarsi quale prerequisito necessario per accedere al processo di rettificazione, ma solo quale eventuale mezzo funzionale al raggiungimento di un completo benessere psico-fisico dell’individuo. 

A seguito e proprio in ragione di siffatta decodificazione del disposto legislativo, la Consulta ha, con la sent. 143/2024, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31 D. Lgs. 150/2011 “nella parte in cuiprescrive l’autorizzazione del Tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenuti siano ritenute dallo stesso Tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di attrubuzione di sesso.”

Viene, infatti, ritenuta irragionevole la richiesta indistinta di autorizzazione per l’accesso all’intervento chirurgico di modifica del sesso, dal momento che tale prescrizione perde ogni ragion d’essere davanti ad un percorso di transizione già sufficientemente avanzato a giudizio del Tribunale. In siffatte eventualità, pertanto, la decisione in merito all’applicazione del trattamento medico non può che rientrare tra i corollari del principio di autodeterminazione del soggetto. 

Sulla base di quanto finora precisato, quindi, il Tribunale di Trento afferma che osti all’applicazione della legge brasiliana sia la prevalenza, nel nostro ordinamento, del principio della tutela della salute su quello della corrispondenza tra sesso anatomico e anagrafico; sia il non superamento, nel contesto italiano, della necessità di “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali” per conseguire una pronuncia di rettificazione delle risultanze dello stato civile. A ciò si deve aggiungere - anche se in via residuale - la prescrizione di una sentenza autorizzatoria ai fini dell’adeguamento dei caratteri sessuali primari, benché solo laddove la stessa operi prima ed in funzione di una rettifica di genere. 

Nel caso di specie, alla luce del percorso psicologico attuato dal ricorrente a seguito della diagnosi di disforia di genere, del carattere maschile ad esso attribuito a livello sociale e del trattamento ormonale da lui effettuato, il Tribunale riconosce l’avveramento di un’effettiva transizione. Viene, conseguentemente, ordinato all’Ufficiale di Stato Civile di rettificare l’atto di nascita. 

Al contrario, per quanto attiene alla questione inerente all’autorizzazione all’intervento medico-chirurgico di riassegnazione del sesso, viene stabilito il non luogo a provvedere, in ossequio alla ricostruzione giurisprudenziale della disciplina finora analizzata, in particolare a seguito della sentenza costituzionale del 2024. In questo caso, infatti, il percorso di modificazione dei caratteri sessuali è già giunto ad un livello di avanzamento tale, in ragione di avvenuti cambiamenti di tipo psicologico e comportamentale, da non poter considerare il trattamento sanitario come prodromico per la rettificazione e, conseguentemente, soggetto a decisione autorizzatoria del Tribunale. 

 Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.

Agata Borghi
Pubblicato il: Martedì, 24 Dicembre 2024 - Ultima modifica: Martedì, 08 Aprile 2025
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