La Court of Appeal rigetta l’appello proposto da un uomo contro la sentenza di primo grado che
aveva escluso la responsabilità della clinica a fronte di una falsificazione da parte della coniuge
della firma nel documento per il consenso allo scongelamento di embrioni crioconservati.
UK - Court of Appeal (Civil Division) - ARB v. Ivf Hammersmith e R: consenso allo scongelamento di embrioni crioconservati
17 dicembre 2018
Il caso riguarda la richiesta di risarcimento avanzata da un uomo (ARB) per le spese che avrebbe dovuto sostenere per la crescita del figlio nato a sua insaputa.
È il 2008 quando ARB e R, legati da stabile rapporto coniugale, decidono di intraprendere le pratiche di IVF omologa che avrebbe portato alla creazione di embrioni derivanti dall’incontro dei gameti dei due partner.
Gli interessati si rivolgono a una clinica privata con la quale concludono un contratto avente ad oggetto l’esecuzione delle procedure per l’IVF che vengono svolte con successo e portano alla nascita di un primo figlio.
Una parte degli embrioni creati viene crioconservata, nell’eventualità di un ulteriore trattamento futuro.
La crioconservazione richiede un rinnovo annuale del consenso al congelamento degli embrioni che, sino al 2010, viene prestato da entrambi i coniugi, essendo ARB consapevole che per lo scongelamento di ulteriori embrioni sarebbe stato necessario il suo consenso. Tuttavia, nel maggio 2010, R inizia, all’insaputa di ARB, le prime fasi dell’iter per la fecondazione in vitro, recandosi da sola agli incontri periodici presso la clinica.
Nell’agosto 2010 i coniugi si separano e a ottobre, durante gli ultimi incontri prima dell’impianto dell’embrione, R consegna alla clinica il modulo per acconsentire allo scongelamento, riportante la firma falsificata di ARB.
A ottobre R si sottopone all’impianto degli embrioni prima crioconservati e successivamente nasce il secondo figlio con ARB.
Il primo grado di giudizio vede ARB contrapposto alla clinica per violazione degli obblighi contrattuali, essendo stato accertato che la firma di ARB era stata falsificata e che egli non era a conoscenza delle azioni di R.
Justice Jay, tuttavia, perviene alla conclusione che la clinica, non essendo stata informata della separazione e del conseguente cambio di residenza di R, non poteva sapere dell’interruzione del rapporto tra i due ex coniugi e aveva pertanto espletato correttamente la procedura standard per l’acquisizione del consenso. La normativa vigente nel 2010 contemplava l’ipotesi dell’assenza di uno o entrambi i partners agli incontri presso la clinica e richiedeva che il consenso mancante dovesse essere fornito entro le ultime fasi del trattamento, senza che si procedesse ad una convalida immediata delle firme.
Se, tuttavia, nel primo giudizio il giudice afferma che l’ottenimento del consenso con modalità indirette è pratica diffusa nella prassi, e dunque la clinica privata in questione non può essere ritenuta negligente nell’acquisizione del consenso e nella previa fase informativa, in appello la maggioranza del collegio sottolinea che l’irragionevolezza della prassi non consente una giustificazione del comportamento poco accorto in punto di verifica della validità del consenso.
A ritenere diversamente si rischierebbe di incidere negativamente su una materia, quale quella della fecondazione in vitro, in cui la delicatezza risiede nella condizione di vulnerabilità dei richiedenti che tentano una modalità di concepimento comportante stress psicologico oltre che fisico, specie per la donna.
Malgrado il comportamento scorretto di R, anche i giudici d’appello concordano circa l’impossibilità di riconoscere un risarcimento a ARB (richiesta animata non da un desiderio di compensazione, quanto da un senso di “giustizia”), poiché si tratterebbe di un matter of legal policy . Nonostante ci si trovi in ambito contrattuale, vanno applicati i principi di diritto rinvenibili in materia di illeciti non contrattuali, non rilevando la qualificazione in sé degli obblighi in capo alla struttura.
La questione dell’impossibilità della compensazione va ricondotta ad alcune considerazioni universalmente condivisibili:
1. la disparità di trattamento che si creerebbe in caso di risarcimento riconosciuto in rapporti sanitari con cliniche private rispetto a quelli con strutture parte del sistema sanitario nazionale;
2. la non approvabilità, a livello sociale, di un risarcimento riconosciuto per la crescita di un figlio sano, avvenimento da ritenersi positivo nella vita di una persona;
3. la difficoltà nella quantificazione di un’ eventuale compensazione.
La chiave della pronuncia è il principio generale di giustizia, di legal policy, che rende irrilevante la questione sulla natura contrattuale o non di una violazione degli obblighi riconducibili alla struttura, e mette in primo piano i valori diffusi nella società e contemplati a livello giudiziario. Al punto 28 della sentenza si fa infatti riferimento ad un passo del precedente McFarlane in cui la ratio è che a fronte dei pro e dei contro legati alla nascita di un figlio «Society itself must regard the balance as beneficial. It would be repugnant to its own sense of values […], it is morally offensive to regard a normal, healthy baby as more trouble and expense than it is worth».