La Court of Protection si pronuncia, sulla scorta di Briggs, in merito alla interruzione di idratazione e nutrizione artificiali per un soggetto incapace in stato di minima coscienza, ribadendo il principio-guida del “best interest”. Stabilisce, in aggiunta, che non vi sia necessariamente obbligo di pronuncia giudiziaria, ove le parti coinvolte non siano in disaccordo sul contenuto del “best interest” del paziente incapace.
UK - Court of Protection – M. v. A hospital: interruzione trattamenti di sostegno vitale anche in assenza di intervento giurisdizionale
20 settembre 2017
Con la sentenza nel caso M (by her litigation friend Mrs B) vs a Hospital 2017 EWCOP 19 – (20 settembre 2017) la Court of Protection inglese ha stabilito alcuni importanti principi per l’interpretazione del Mental Capacity Act 2005 relativi all’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale anche in pazienti in stato di minima coscienza..
La paziente M era affetta dalla sindrome di Huntington, una malattia genetica neurodegenerativa progressiva, incurabile e sostanzialmente fatale. La malattia l’aveva progressivamente costretta ad una sempre più profonda dipendenza da cure ospedaliere, sino ad essere ricoverata in maniera permanente e sottoposta ad idratazione e nutrizione artificiale tramite PEG. Negli ultimi 10 anni era stata quasi esclusivamente nel letto di ospedale, sino ad entrare in uno stato di minima coscienza. Gli addetti alle cure ospedaliere ed i parenti che le avevano prestato assistenza erano concordi che continuare a ricevere trattamenti di sostegno vitale non fosse nel “best interest” di M.
I ricorrenti rivolgono alla Court of Protection tre quesiti: se la madre della paziente possa coprire il ruolo di rappresentante giudiziale, se si possa interrompere il trattamento di sostegno vitale e, soprattutto, se l’intervento dell’autorità giudiziaria sia comunque necessario quando non ci sia disaccordo sul “best interest” del paziente.
Quanto al primo quesito, il giudice conferma che un genitore possa, in linea di principio, rappresentare il paziente incapace, a condizione che siano rispettati i requisiti stabiliti dalle Court of Protection Rules 2007.
In merito al secondo quesito, davanti al giudice vengono presentate le testimonianze della famiglia e dei medici, le quali sono tutte concordi nell’affermare che “M’s best interests favour withdrawing artificial nutrition and hydration”.
Il giudice, secondo le disposizioni del Mental Capacity Act 2005, accerta che i parenti ed i medici “had reached their positions after the most careful thought, placing M at the centre of their concern, and concluding that she would not have wanted to go on living like as she was”. Per questo motivo, il magistrato dispone che si interrompano i trattamenti di sostegno vitale, sostituendoli con cure palliative.
Quanto al terzo quesito, il giudice riconosce essere una prassi consolidata che la proposta di interruzione di trattamenti vitali sia portata di fronte ad un tribunale. Tuttavia, egli afferma che nel caso di specie non sarebbe stato un requisito necessario per la legittimità della decisione nel merito.
A tal proposito, il giudice afferma che dalla legge non deriva l’obbligo di consultare il giudice, mentre i precedenti che sembrano invece richiederlo costituiscono una prassi non uniforme e non vincolante. Si sottolinea, quindi, la natura meramente dichiarativa e non costitutiva dell’eventuale intervento del giudice. La pronuncia non è la fonte di legittimità della decisione della sospensione del trattamento, legittimità che risiede invece solo ed esclusivamente nel “best interest”. “What is however clear is that the court is not the source of lawfulness: it identifies whether treatment is or is not lawful, but it cannot make unlawful treatment lawful, or vice versa.”
Si sottolinea inoltre che, visto l’incremento delle decisioni aventi ad oggetto la prosecuzione o l’interruzione di trattamenti di sostegno vitale, non sarebbe pensabile una supervisione esterna su ciascuna di esse. “Overwhelmingly, treatment decisions up to and including the withholding and withdrawal of life-support are taken by clinicians and families working together in accordance with recognised good practice. No one suggests that these decisions should all be the subject of external supervision”.
Il giudice osserva poi che imporre una pronuncia giudiziale quale requisito generale per la sospensione dei trattamentiavrebbe un effetto deterrente per i costi ed i tempi che essa richiede. Perciò, una decisione sui trattamenti di sostegno vitale presa direttamente dai medici curanti in linea cogli orientamenti professionali e deontologici predominanti “will be lawful and the clinicians will benefit from the protection of s.5. The court is always available where there is disagreement, or where it is felt for some other reason that an application should be made, but this will only arise in rare cases, such as Aintree”.
Il testo completo della decisione è disponibile nel box download.