La Family Division della High Court, pronunciandosi in un caso relativo all’accertamento della capacità mentale di una paziente tetraplegica e sottoposta a ventilazione meccanica, riconosce l’esistenza del diritto a rifiutare i trattamenti sanitari, nel caso in cui il paziente sia mentally competent.
UK - High Court (Family Division) - Ms B v An NHS Hospital Trust: rifiuto dei trattamenti
22 marzo 2002
Miss B fu ricoverata per la prima volta in ospedale nell’agosto del 1999, quando le fu diagnosticato un cavernoma, che richiedeva un intervento medico piuttosto rischioso. Avvertita dei possibili rischi dell’intervento, che avrebbe potuto renderla gravemente disabile, aveva espresso in un living will il desiderio che, nell’ipotesi in cui fosse caduta in uno stato incosciente permanente e irreversibile, gli eventuali trattamenti di supporto vitali venissero sospesi.
Dopo un apparente recupero, le sue condizioni peggiorarono e rimase tetraplegica, supportata dal meccanismo di ventilazione artificiale. Non potendo avvalersi di quanto statuito precedentemente nel suo living will (il contenuto era stato considerato non sufficientemente dettagliato), fu sottoposta ad altre operazioni, ma, poiché alcune sue condizioni erano diventate irreversibili, iniziò a chiedere l’interruzione permanente del meccanismo di ventilazione artificiale.
Queste richieste aumentarono a partire dal marzo 2001, dopo l’insuccesso di altre operazioni. Nell’aprile del 2001 fu dichiarata priva di capacità mentale dal team di psichiatri che la stava assistendo. Nel maggio del 2001, accettò il trattamento di rehabilitation, per monitorare l’andamento delle sue condizioni.
Tuttavia, l’8 agosto del 2001 fu considerata nuovamente capace. Avendo la paziente scartato il trattamento di recupero, lo staff medico si rifiutò molte volte di interrompere il trattamento di sostegno vitale. Piuttosto, le fu offerto un “one way weaning programme”, che prevedeva una progressiva riduzione dell’utilizzo del ventilatore artificiale nel tentativo di farle riacquisire capacità respiratorie autonome.
Ms B rifiutò tale intervento, considerato eccessivamente lungo e doloroso, non prevedendo la somministrazione di farmaci pain killers.
Ms B, dopo ulteriori rifiuti, si rivolge quindi al giudice inglese per accertare l’illegittimità del comportamento tenuto dall’azienda ospedaliera nei suoi confronti, che non aveva assecondato le sue volontà.
Il giudice inglese si pone l’obiettivo di accertare la mental capacity di Ms B, verificando se la ricorrente potesse decidere autonomamente di rifiutare il trattamento di ventilazione artificiale che la manteneva in vita.
Nel richiamare i precedenti in tema di mental capacity, la Corte afferma che, in base al principio di autonomia, gli adulti considerati mentally competent hanno pieno diritto di rifiutare i trattamenti medici offerti, anche vitali e qualunque siano le motivazioni. D’altro canto, il principio della sacralità della vita, strettamente collegato col principio di autodeterminazione, impedisce a un medico di agire in maniera contraria alla volontà del suo paziente, anche se assecondarlo significherebbe permetterne la morte.
Inoltre si presume che un adulto sia mentalmente capace, anche se il livello di capacità richiesto dipende dalla gravità della decisione da assumere.
Il giudice procede ascoltando e osservando le dichiarazioni, scritte e orali, rilasciate dalla paziente in merito alla sua condizione psico-fisica e ai trattamenti che le venivano offerti. Dagli atti emerge che la paziente aveva sempre mantenuto salde le proprie convinzioni, fatta eccezione per il periodo tra aprile e maggio del 2001, quando era stata dichiarata “incompetent” e quando aveva preso in considerazione l’alternativa riabilitativa.
Superato questo periodo, tale alternativa fu da lei scartata in quanto “it offered no possibility of recovery”, specificando che “I had not changed my views, it is just that now I was assessed as being able to make a choice.” (par. 44).
Una volta considerata nuovamente in possesso della propria mental capacity, inoltre, Ms B rifiutò apertamente i nuovi trattamenti, anche nel rispetto della sua dignità:
“I have refused the specialist clinic because weaning is essentially a long term treatment for patients who want to live without ventilation. This is not what I want as it has no positive benefits for me given my level of disability. [The one way weaning programme] does not include pain control and would last for several weeks. ... I have refused this option because this would be a slow and painful death and my view of this is not disputed by the doctors. I would also feel robbed of a certain amount of dignity. ... My wish is to be sedated. I would expect it to be a quick and painless death and less distressing for my loved ones. Negative weaning [one-way weaning] would mean watching me die over a series of weeks, the thought of this is painful for me to accept.” (par. 45).
Dopo aver completato la propria analisi, il giudice definisce Ms B “extremely well informed about her condition”, le sue volontà “clear and well expressed”, ravvisando “a very high standard of mental competence” e “an exceptionally impressive witness” (par. 55).
Il Tribunale procede ascoltando il parere tecnico dei cinque medici che, più o meno indirettamente, sono entrati a contatto con la paziente. Nessuno degli esperti negò che Ms B, dall’8 agosto del 2001 in poi, fosse capace (“competent”) di compiere decisioni fondamentali circa la sua cura, compresa la decisione di rifiutare la ventilazione artificiale.
Il giudice, quindi, fa proprie queste conclusioni, confermando che la struttura ospedaliera aveva agito unlawfully nei confronti di Ms B, non assecondando le sue volontà, pur riconoscendo l’alta competenza e la devozione con cui il personale medico l’aveva assistita nel frattempo.
Il testo della sentenza è reperibile nel box download e a questo link.