La Corte Suprema ha rigettato all’unanimità l’istanza proposta da medici e associazioni anti-abortiste volta alla rimozione dal mercato nazionale del Mifepristone, uno dei due farmaci necessari per ottenere l’aborto farmacologico. Analizzando i requisiti dell’art. III della Costituzione, la Corte ha effettuato un’analisi formale della questione, rilevando la mancanza di legittimità ad agire dei ricorrenti.
US Supreme Court – Food and Drug Administration v. Alliance for Hippocratic Medicine: la vicenda del “Mifepristone”
13 giugno 2024
Dopo aver approvato per la prima volta l’utilizzo, con alcune restrizioni, del Mifepristone come farmaco per ottenere una interruzione di gravidanza nel 2000, la Food and Drug Administration ha nel tempo modificato il regime di utilizzo e distribuzione del farmaco.
A novembre 2022, dopo che il diritto all’aborto era stato riconosciuto come non soggetto a protezione costituzionale nella sentenza Dobbs v. Jackson Women's Health Organization, quattro associazioni mediche pro-life e diversi medici anti-abortisti hanno richiesto un’ingiunzione preliminare per ottenere la revoca dell’approvazione da parte della FDA del Mifepristone. In particolare, i ricorrenti pretendevano il riconoscimento delle modifiche al regime di utilizzo e distribuzione del farmaco nel 2016 e nel 2021 come illegali. La prima riforma era stata introdotta con la finalità di estendere il termine di utilizzo del Mifepristone da 7 a 10 settimane e permettere anche ad assistenti sanitari di prescrivere il farmaco; con la seconda, nel 2021, la FDA aveva annunciato di voler eliminare il requisito della visita di persona inizialmente imposto per poter ottenere il farmaco.
L’opinione unanime della Corte Suprema, redatta dal giudice Kavanaugh, sostiene che i ricorrenti non siano legittimati, ex articolo III della Costituzione, a contestare le azioni della FDA in merito alla regolamentazione del Mifepristone. Per poter stabilire la legittimazione ad agire, l'attore deve dimostrare (i) che ha subito o probabilmente subirà un pregiudizio di fatto, (ii) che il pregiudizio è stato probabilmente causato o sarà causato dal convenuto e (iii) che il pregiudizio sarà probabilmente riparato dal provvedimento giudiziario richiesto. È dunque necessaria la sussistenza di un interesse personale nella causa per poter ottenere una pronuncia giurisdizionale. Il fine di tale delimitazione è quello di evitare che possano essere intentati giudizi da coloro che abbiano un’obiezione meramente morale, ideologica o politica contro una certa azione governativa. Nella sua analisi, la Corte argomenta l’assenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti per mancanza di nesso di causalità tra i danni sostenuti dai ricorrenti e le azioni dell’amministrazione convenuta.
In primo luogo, i ricorrenti sostengono che l’allentamento delle restrizioni della FDA per l’uso e la distribuzione del Mifepristone possa essere causa, per le donne in gravidanza, di un aumento di complicazioni derivanti dall’uso del farmaco, comportando un aumento anche nel numero di procedure abortive di emergenza richieste. Di conseguenza, concludono i ricorrenti, i medici saranno costretti ad offrire trattamenti di emergenza per completare o fornire interruzioni di gravidanza, in contrasto con la propria coscienza.
Tuttavia, l’obiezione di coscienza è protetta a livello federale sia da leggi ad hoc in vigore sin dalla prima approvazione del Mifepristone nel 2000, sia dalla più recente legge federale sul trattamento medico d’emergenza (Emergency Medical Treatment and Labor Act). Inoltre, la Corte sottolinea come i ricorrenti non siano riusciti ad individuare alcun caso concreto in cui un medico sia stato obbligato, nonostante le obiezioni di coscienza, a praticare un aborto o a fornire altri trattamenti correlati all'aborto che violassero la sua coscienza.
Oltre ad asserire la possibile violazione del diritto all’obiezione di coscienza, i medici ricorrenti citano vari danni monetari e correlati che presumibilmente subiranno come risultato delle azioni della FDA. In particolare, viene menzionata la possibilità di dover distogliere risorse e tempo da altri pazienti per curare pazienti con complicazioni da Mifepristone, l'aumento del rischio di cause di responsabilità civile per aver curato tali pazienti e il potenziale aumento dei costi assicurativi. Tuttavia, anche in questo caso la Corte ritiene che il nesso causale tra le azioni regolatorie della FDA e i presunti danni sia troppo speculativo o comunque troppo attenuato per stabilire la legittimazione ad agire.
In terzo luogo, le associazioni mediche ricorrenti sostengono che la Food and Drug Administration ha compromesso la loro abilità di fornire servizi e realizzare le loro missioni organizzative. Le associazioni sostengono di essere state costrette a spendere una considerevole quantità di tempo, energia e risorse per condurre i propri studi sul Mifepristone in modo da poter meglio conoscere i rischi del farmaco, per redigere petizioni dei cittadini contro la FDA, oltre che per impegnarsi nella difesa e nell'educazione del pubblico, tutto ciò a discapito di altre priorità di spesa. Tuttavia, una volta ancora, non risulta sussistente la legittimazione ad agire poiché un’organizzazione che spende del denaro per raccogliere informazioni e sostenere la causa contro l'azione del convenuto non ha, solo per tale motivo, subito un danno diretto. Manca anche in questo caso il nesso di causalità.
Infine, la Corte respinge anche l’argomentazione “se non noi, chi?”, secondo cui i ricorrenti debbono essere legittimati ad agire solo perché nel caso non lo siano allora nessuno potrebbe esserlo, e dunque nessuno potrebbe contestare le azioni della FDA.
Il giudice Thomas concorre con l’opinione della maggioranza, sostenendo nella sua opinione la correttezza del ragionamento della Corte, ma sottolineando come la legittimità ad agire invocata dalle associazioni mediche ricorrenti sia frutto di interpretazioni dottrinali di dubbia provenienza. Secondo il giudice, anche se in questa causa non si è profilato necessario respingere la dottrina della legittimazione associativa per concludere che i ricorrenti non sono legittimati, la Corte dovrebbe, in giusta sede, valutare se tale tipologia di legittimazione ad agire possa essere conciliata con i requisiti dell'articolo III della Costituzione.
Il testo della decisione è disponibile a questo link e nel box download.