In Cile, dopo un dibattito durato oltre due anni, nel settembre del 2017 è stata promulgata la Legge n° 21.030 su “Depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza in 3 casi”: pericolo di vita per la madre, violenza sessuale e “inviability” del feto.
Cile – L. 21030/2017: depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza in 3 ipotesi
23 settembre 2017
Il Codice penale cileno del 1874 considerava l’interruzione volontaria di gravidanza, di qualsiasi tipo, un delitto. Nel 1931, con l’art. 226 del Codice delle leggi sanitarie, venne disciplinata l’unica ipotesi di interruzione volontaria di gravidanza, a soli fini terapeutici, ossia in caso di grave pericolo per la salute fisica e psichica della madre.
La Costituzione cilena del 1980, adottata durante la dittatura militare di Pinochet, contemplava la protezione del diritto alla vita del nascituro (Art. 19.1 “Le ley protege la vida del que está por nacer”) rimettendo al legislatore le modalità per garantire tale diritto. Questa impostazione ebbe forti ricadute sulla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza che venne proibita in modo assoluto, ad esclusione del caso di grave pericolo di vita per la madre (caso in cui si cercava di salvare tanto la madre quanto il nascituro).
Solo nel 2015 venne presentato un progetto di legge per depenalizzare l’aborto in tre ipotesi che venne approvato da Camera e Senato nell’agosto nel 2017. A tale progetto si oppose, però, un gruppo di parlamentari che chiese l’intervento della Corte costituzionale . Quest’ultima giudicò la questione infondata e diede il via libera per la promulgazione della legge, avvenuta il 14 settembre del 2017.
L’art. 1 della legge sulla depenalizzazione dell’aborto stabilisce che si autorizza l’interruzione volontaria della gravidanza quando:
- la donna si trovi in pericolo di vita, di modo tale che l’interruzione della gravidanza eviti tale pericolo;
- l’embrione o il feto soffrano di una patologia congenita acquisita o genetica, incompatibile con la vita extrauterina indipendente e, in ogni caso, di carattere letale;
- sia il risultato di una violenza sessuale, sempre che non siano trascorse più di 12 settimane di gestazione; nel caso di donna minore di 14 anni, l’interruzione potrà realizzarsi a patto che non siano trascorse più di 14 settimane di gestazione.
La prima ipotesi non menziona alcun dato temporale, il che presuppone che l’interruzione si possa praticare in qualsiasi momento e a qualunque stadio della gravidanza, ancorché si sia accertata o meno la capacità di sopravvivenza autonoma del feto. Inoltre, è richiesta la diagnosi del medico circa il pericolo di vita per la donna. Una diagnosi di tipo specialistico è richiesta anche nel caso di “inviability” del feto, prima di procedere con l’interruzione. Nel caso di violenza sessuale, se la donna maggiore di età non ha denunciato il delitto, il direttore della struttura sanitaria dovrà portare la notizia a conoscenza del Pubblico Ministero affinché avvii, d’ufficio, un’investigazione.
La legge disciplina il consenso della donna, che deve essere espresso previamente e per iscritto. Se si tratta di minore di 14 anni, oltre alla volontà, sarà richiesta l’autorizzazione del suo rappresentante legale. In mancanza di autorizzazione, intendendosi per essa il diniego del rappresentante, la minore, assistita da un membro dell’équipe medica, potrà richiedere l’intervento del giudice affinché valuti la sussistenza di una delle tre cause.
La legge, infine, si occupa dell’obiezione di coscienza aggiungendo l’art. 119-ter il quale prevede che il medico chirurgo chiamato a interrompere la gravidanza, in ragione di una delle tre ipotesi sopra descritte, potrà astenersi dal farlo in tanto in quanto abbia manifestato la propria obiezione di coscienza al direttore della struttura sanitaria in forma previa e scritta. Dello stesso diritto godrà il resto del personale che esplichi le sue funzioni durante l’intervento. In questo caso, la struttura ha l’obbligo di riassegnare immediatamente la paziente ad un altro medico non obiettore. In sua assenza, la paziente dovrà essere derivata ad un’altra struttura.
Solo quando la donna abbia bisogno di assistenza medica immediata e improrogabile, in conformità con la prima ipotesi (il rischio per la vita), anche il medico obiettore non potrà astenersi dalla realizzazione dell’interruzione della gravidanza.
Il testo della legge è disponibile nel box download.