Questa pagina propone una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale relativo alle decisioni di fine vita negli Stati Uniti.
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Questa pagina propone una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale relativo alle decisioni di fine vita negli Stati Uniti.
1. Introduzione
3.1. Omicidio del consenziente
3.2.1. Legislazione relativa al suicidio medicalmente assistito
3.2.2. Giurisprudenza relativa al suicidio medicalmente assistito
La disciplina del fine vita negli USA non è competenza federale quanto piuttosto statale. Il quadro normativo e giurisprudenziale è dunque eterogeneo e per comprenderlo appare necessario consultare la pluralità delle fonti statali. All’interno di ciascun paragrafo tematico potrete trovare i riferimenti della legislazione e della giurisprudenza più significativa.
Il diritto al rifiuto di trattamenti terapeutici (right to refuse medical treatment) discende dal più generale principio di autodeterminazione. In particolare, il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, anche life-saving o life-sustaining, è ammesso dall’ordinamento USA dalla pronuncia Cruzan v. Director, Missouri Department of Health, 497 US 261 1990 e rientra all’interno delle tutele offerte dal XIV° emendamento.
L’applicazione del right to refuse medical treatment alle fasi terminali comporta la facoltà, posta in capo al paziente, di rifiutare le pratiche mediche - anche di sostegno vitale - con conseguente decorso nefasto della malattia. La facoltà di avvalersi della c.d. eutanasia passiva viene riconosciuta anche ai soggetti non più in grado di intendere e di volere tutte le volte in cui la loro volontà appare da espresse disposizioni (redatte quando la capacità non era ancora scemata) o da una ricostruzione della volontà presunta attuata attraverso, ad esempio, la puntuale e severa ricomposizione delle narrazioni di amici e parenti.
Qui di seguito riportiamo le principali tappe del percorso che ha portato dall’affermazione del diritto al rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale anche per le persone incapaci di intendere e di volere.
i) In re Quinlan, 70 N.J. 10 (1976): Karen Ann Quinlan si trova in stato vegetativo persistente (1975). Il padre, nello stesso anno, chiede al tribunale l'autorizzazione a staccare il respiratore artificiale in uso alla figlia. A questa richiesta si oppongono tanto i medici quanto il procuratore generale dello stato del New Jersey. Il signor Quinlan ricorre dunque alla Corte suprema del New Jersey. Quest'ultima autorizza il distacco del supporto vitale fondando la sua decisione sul V emendamento della Costituzione Americana il quale sancisce il right to privacy. In particolare, il V emendamento ha lo scopo di salvaguardare l'individuo da ingiustificate ingerenze dello Stato su questioni strettamente personali. Secondo la Corte il diritto alla privacy del singolo prevale sui potenziali interessi statali al prolungamento della vita.
ii) Cruzan v. Director, Missouri Dep't of Health, 497 U.S. 261 (1990): costituisce il primo caso in cui la Corte Suprema degli Stati uniti affronta il tema del right to die. Nancy Cruzan si ritrova, a seguito di un incidente d'auto, in stato vegetativo irreversibile. I genitori, dando seguito ad una conversazione avuta con la figlia all'interno della quale essa aveva espresso il desiderio di morire qualora si fosse trovata in una condizione di stato vegetativo irreversibile, chiedono all'ospedale di interrompere l'alimentazione artificiale. L'ospedale chiede, al fine di ottemperare alla richiesta, un ordine del tribunale. La Trial court of Missuri autorizza la sospensione delle cure fondando la propria decisione sul right to privacy. L'ospedale propone appello. La Corte Suprema del Missouri, discostandosi da quanto affermato dalla Trial Court, giunge alla conclusione secondo cui, la semplice dichiarazione di non voler continuare a vivere in stato vegetativo, non costituisce informad consent. I genitori si rivolgono dunque alla Corte Suprema degli Stati Uniti. La Corte Suprema dichiara il pieno diritto al rifiuto dei trattamenti da parte di una persona capace, mentre nel caso di persona incapace ritiene legittimo esigere un rigoroso onere della prova della volontà preesistente dell’incapace (“clear and convincing evidence”).
L’ordinamento prevede un generale e tendenziale divieto in merito alle pratiche di c.d. mercy killing ovverosia le pratiche di eutanasia attiva. È tuttavia necessario distinguere tra: i) omicidio del consenziente ii) assistenza al suicidio.
3.1 Omicidio del consenziente (consensual homicide): la morte del soggetto richiedente è determinata dall’intervento diretto di un altro soggetto. Tale pratica viola la Costituzione e rappresenta reato federale, pertanto è vietata in tutti gli Stati Uniti d’America.
3.2. Assistenza al suicidio (aid in dying): in questo caso la morte del richiedente deriva dall’assunzione di un farmaco dagli effetti letali (per le caratteristiche chimiche o per le quantità assunte). Nel caso di assistenza al suicidio il soggetto che assiste non ho alcun ruolo attivo e diretto, infatti, egli non somministra il farmaco al richiedente.
3.2.1. Legislazione relativa al suicidio medicalmente assistito
Vengono di seguito riportati gli Stati in cui l’aiuto al suicidio è legale:
A questo link potete trovare una mappa completa e sempre aggiornata
3.2.2. Giurisprudenza relativa al suicidio medicalmente assistito
i) Vacco v. Quill, 521 U.S. 793 (1997), Corte Suprema Federale: Il divieto di assistenza al suicidio non viola la Equal Protection Clause affermata all’interno del XL° emendamento. In particolare, all’interno della pronuncia la Corte attua un bilanciamento tra interessi personali e statali, sancendo la prevalenza dei secondi (come ad esempio: tutelare le persone vulnerabili da influenze esterne, prevenire abusi della pratica medica, tutelare il ruolo del medico).
ii) Washington v. Glucksberg , 521 U.S. 702 (1997), Corte Suprema federale: afferma la legittimità del divieto di assistenza al suicidio, divieto che non viola il XIV° emendamento (Due Process Clause). Anzi, dopo aver individuato i contrapposti interessi statali che legittimano il divieto, i giudici federali negano l’esistenza di un diritto al suicidio assistito tra i diritti fondamentali radicati in “our Nation’s history, legal traditions, and practices” che sono protetti dalla Due Process Clause.
iii) Gonzales v. Oregon, Corte Suprema USA 2006: la Corte sancisce la legittimità di una precisa modalità di suicidio assistito, la prescrizione medica per l’assunzione di un farmaco letale regolamentata dagli stati. Infatti, la sentenza stabilisce che le leggi federali non possono essere interpretate dallo US Attorney General nel senso di proibire l’assunzione di un farmaco, di per sé non proibito, anche al fine di praticare l’assistenza al suicidio che sia autorizzata a livello statale. La Corte così salva la legittimità dell’Oregon Death with Dignity Act.