Italia: il Comitato Nazionale per la Bioetica affronta alcune implicazioni etiche sull’applicazione del CRISPR-CAS9 per la ricerca, delineando le diverse problematiche che potrebbero nascere dalla assenza di una moratoria, rimanendo tuttavia su alcuni profili relativi all’utilizzo della tecnica.
Comitato Nazionale per la Bioetica - Parere sulla innovativa e discussa tecnica del CRISPS-CAS9
Anno 2017
Il parere del Comitato si inserisce in un rinnovato dibattito attorno alle implicazioni etiche e scientifiche del gene editing, approcciando il delicato tema della tecnica CRISPR-CAS9. Quest’ultima pone una serie di nuovi interrogativi, “in vista delle potenzialità in termini sia di miglioramento delle conoscenze di base dei processi di sviluppo cellulare, oltre che di possibili applicazioni ad una serie di settori”. L’aspetto rivoluzionario e quindi delicato del CRISPR-CAS9 “non consiste tanto nell’idea, quanto piuttosto nell’assemblaggio molecolare realizzato per effettuare l’operazione di editing, che apre prospettive di intervento fino a pochi anni fa inimmaginabili, con caratteristiche di precisione, specificità, relativa semplicità, facile accessibilità, efficienza e bassi costi.”
Il Comitato rimarca come la questione etica sia nel caso di specie ulteriormente complicata da una serie di interrogativi che gravitano attorno alla efficacia della tecnica, alla sicurezza della applicazione ed alle sue ripercussioni – sia sul singolo individuo che sulle generazioni future. A conferma di ciò vengono riportate le contrastanti - e spesso diametralmente opposte - opinioni provenienti da alcuni rilevanti dibattiti e convegni sull’argomento. La comunità scientifica mondiale concorda però sul fatto che “si richiede uno sforzo per la messa a punto di norme circa le condizioni di accettabilità dell’editing sulla linea germinale umana e l’armonizzazione delle diverse normative esistenti in materia.”
Nonostante la molteplicità di questioni che nascono dalle “possibili applicazioni ad una serie di settori”, il Parere restringe la sua attenzione ad una particolare prospettiva, ossia la possibilità di utilizzare il CRISPR-CAS9 per “l’incremento delle conoscenze e sulla correzione genetica con finalità terapeutiche, in grado di indurre modificazioni ereditabili, così come atteso dalle modificazioni, a fini riproduttivi, delle cellule germinali e degli embrioni nelle fasi iniziali dello sviluppo”. Da questa ottica, le riflessioni del Comitato rimangono concordi sulla assenza di peculiari inconvenienti quanto alla sperimentazione sugli animali e al gene editing delle cellule somatiche. Per questi, si tratta solo di applicare già consolidati principi etici, tra cui “l’obbligo morale di curare le generazioni presenti, con tutti i mezzi messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnica.”
Quanto all’applicazione del gene editing sui gameti umani destinati al concepimento in vitro degli embrioni e sugli embrioni umani, il Comitato, invece, è diviso. Non tanto “sull’opportunità di non procedere, allo stato attuale, alluso clinico del gene editing sui gameti destinati al concepimento e sugli embrioni umani destinati all’impianto”, che rappresenta un punto di convergenza, quanto “sull’opportunità di portare o meno avanti la ricerca in vitro sugli uni e sugli altri.”
Una parte dei componenti appoggia “il prosieguo della ricerca di base sul gene editing, anche nella prospettiva preventiva di eliminare mutazioni genetiche alla base di gravi patologie prima ancora dell’inizio della gravidanza”. Questa convinzione deriva dal timore che una moratoria troppo severa blocchi in toto la ricerca tramite il CRISPR-CAS9. Si evidenzia, invece, la potenzialità conoscitiva e curativa della ricerca tramite tale tecnica. Si sottolinea, con particolare riferimento allo studio sulla linea germinale, come la sua promozione non costituisca un “aut-aut” rispetto al favorire la ricerca su ulteriori tecniche di selezione dei gameti al fine di evitare malattie ereditarie. Si evidenziano, poi, i vantaggi rispetto all’applicazione alle sole cellule somatiche, la quale “non elimina alla radice il difetto genetico”. Quanto ai rischi di natura ‘eugenica’ che potrebbero sorgere se la ricerca si rivelasse efficace, si preferisce un approccio basato su “politiche pubbliche appropriate nel caso fossero raggiunti i parametri di cui sopra”, piuttosto che su un ‘blanket ban’.
Di diverso avviso sono altri membri del Comitato. Questi evidenziano che a) la ricerca sui gameti destinati all’impianto è da rifiutare in quanto non porterebbe alcun vantaggio terapeutico in tema di malattie ereditarie che non si possa già raggiungere con una efficace selezione dei gameti; b) la ricerca sugli embrioni è altresì eticamente inaccettabile per la attuale mancanza di sicurezza e soprattutto la non-verificabilità dei risultati in quanto “l’unica possibilità sarebbe quella di accettare di lasciare nascere gli embrioni geneticamente modificati, potenzialmente a rischio di portare mutazioni indesiderate indotte dalla tecnica”. Si sottolinea poi che questioni di giustizia impongono di allocare scarse risorse per altre ricerche di più larga ed efficace applicazione.
Il parere si conclude con una serie di raccomandazioni che rispecchiano le riflessioni elaborate.
Qui il testo completo (disponibile, insieme all’abstract, anche nel box download).