La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accolto i ricorsi presentati nel 2013 e nel 2015 da 182 cittadini, i quali accusavano lo Stato Italiano di non aver adottato le misure legislative necessarie per preservare la loro salute e l'ambiente, e di non aver fornito sufficienti informazioni sull’inquinamento causato dall’ILVA e sui correlati rischi per la salute.
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Cordella e altri c. Italia: la Corte condanna l'Italia per non aver attivato misure necessarie per la bonifica dei territori colpiti dalle emissioni ILVA
24 gennaio 2019
In particolare, i ricorrenti lamentavano una violazione degli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione, i quali tutelano rispettivamente il diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare e a un ricorso effettivo. La Corte, anzitutto, afferma come le questioni relative alla violazione dell’art. 2 siano assorbite da quelle relative alla violazione dell’art. 8, il quale sarà dunque adottato come unico parametro di legittimità, insieme all’art. 13. Dopo aver escluso la legittimazione a ricorrere di 19 dei cittadini, in quanto non residenti nei comuni considerati a rischio (Taranto, Massafra, Montemesola e Statte), la Corte procede a verificare la fondatezza dei ricorsi ricevibili.
Per quanto riguarda la violazione dell’art. 8, la Corte rammenta come un grave danno all’ambiente possa influire sul benessere degli individui e violare il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare. Inoltre, i giudici delineano la portata applicativa dell’articolo in questione, indicando come esso sia idoneo non soltanto a vietare un’illegittima ingerenza degli Stati nella vita dei cittadini, ma anche a imporre agli Stati stessi l’adozione di tutte le misure positive necessarie per assicurare il rispetto della vita privata e familiare dei loro cittadini. Tali obblighi positivi sono tanto più necessari, prosegue la Corte, in caso di attività pericolose, per limitare i rischi derivanti dall’esercizio di suddette attività. Nel caso di specie, la Corte non considera le normative adottate dall’Italia rispettose dell’art. 8. In particolare, il decreto “salva Ilva” del 2015 con cui lo Stato aveva garantito la continuità dell’attività produttiva dello stabilimento, non ha tenuto conto, secondo i giudici di Strasburgo, dei gravi rischi per la salute e per l’ambiente provocati dalle emissioni dell’ILVA, già scientificamente accertati nel corso degli anni. Gli interessi che la normativa doveva tutelare, ossia la salvaguardia dell’economia e della produttività, da un lato, e la salute dei cittadini, dall’altro, non sono stati bilanciati correttamente, a totale discapito di quest’ultima (per la medesima ragione era già intervenuta una dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale del decreto, con la sentenza 58/2018 della Corte Costituzionale).
Per ciò che concerne la violazione dell’art. 13, la Corte EDU spiega che lo scopo del suddetto articolo sia fornire un mezzo attraverso cui i ricorrenti possano ottenere tutela a livello nazionale per le violazioni dei loro diritti garantiti dalla Convenzione, prima di dover attuare il ricorso diretto dinanzi alla Corte. Nel caso di specie, i giudici rilevano come di fatto non sia possibile, per i cittadini italiani, proporre innanzi ad alcuna autorità nazionale le loro doglianze relative alla mancanza di misure che garantiscano la bonifica delle aree interessate dalle emissioni dell’ILVA. Per tale ragione, anche l’articolo 13 della Convenzione deve ritenersi violato.
Nel box download è disponibile il testo della sentenza (in lingua francese).