La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accertato la violazione dell’art. 2 CEDU da parte del Belgio, poiché la loi 28 mai 2002 non garantisce sufficientemente l’indipendenza della Commission fédérale de contrôle et d’évaluation de l’euthanasie.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Mortier v. Belgio: ricorso all’eutanasia di una donna che soffre di depressione cronica
4 ottobre 2022
Il caso riguarda una donna belga malata di depressione cronica, patologia per cui era stata in cura per quasi quarant’anni. A causa delle sue condizioni di salute irreversibili, la donna aveva chiesto e ottenuto di terminare la sua vita in conformità con la legge belga sull’eutanasia.
Dopo la morte della madre il figlio decide di rivolgersi alla Corte EDU per la presunta violazione degli artt. 2 e 8 CEDU. Il ricorrente asserisce che la legge nazionale sull’eutanasia non è idonea a proteggere la vita dei soggetti fragili e lamenta di non aver potuto accompagnare la madre nei suoi ultimi momenti di vita.
La Corte EDU afferma che il suo compito è quello di verificare se “l'atto, praticato da un terzo, che pone intenzionalmente fine alla vita di una persona su richiesta di quest'ultima”, come recita l’art. 2 della loi 28 mai 2002, sia conforme o meno all’art. 2 CEDU. Non ritenendo necessario accertare l’esistenza o meno di un diritto all’eutanasia, i giudici di Strasburgo si limitano a valutare la compatibilità con la Convenzione della procedura così come eseguita nel caso di specie.
Sebbene una communis opinio non sia presente in tema di eutanasia tra gli Stati membri della Convenzione, i giudici di Strasburgo nondimeno ritengono che vi sia un consensus diffuso circa la rilevanza della volontà del paziente. L’eutanasia infatti è uno strumento posto a disposizione dell’individuo che liberamente può decidere di terminare la sua vita nel modo che più ritiene dignitoso. Benché non sia possibile enucleare un diritto a morire a partire dall’art. 2 (Lambert v. Francia), la libertà e la dignità sono principi fondamentali su cui la Convenzione si basa e perciò è ragionevole ritenere che non vi sia un generale divieto alla pratica dell’eutanasia che, a certe condizioni, può essere compatibile con le previsioni della CEDU.
Per quanto concerne l’obbligo positivo di adottare le misure appropriate per tutelare l’individuo e assicurare il diritto alla vita, la Corte EDU riconosce in capo agli stati un certo margine di apprezzamento. Nel vagliare il rispetto di tale obbligo si riserva di valutare la conformità del dettato normativo nazionale, l’applicazione dello stesso nel caso di specie e la presenza di un adeguato sistema di controllo a posteriori.
La loi 28 mai 2002 autorizza i medici a praticare l’eutanasia nei casi in cui il paziente abbia sofferenze fisiche o psichiche insopportabili e qualora la situazione non possa essere risolta mediante altri mezzi, essendo la patologia incurabile. Nel caso di specie l’eutanasia è stata richiesta a causa di sofferenze psichiche, perciò si ritiene necessaria una garanzia rafforzata in modo tale che il paziente prenda la decisione in pieno possesso delle sue capacità di intendere, liberamente e senza condizionamenti esterni.
Visto che tutti questi requisiti sono stati soddisfatti, sotto questo profilo non risulta esservi alcuna violazione della Convenzione.
A seguito del decesso della donna è stato effettuato il controllo ex post ad opera della Commission fédérale de contrôle et d’évaluation de l’euthanasie, come prescritto dalla legge belga, ed è inoltre stata avviata un’indagine penale. In particolare, dagli atti di causa risulta che il medico curante che aveva preso in carico la richiesta di eutanasia sedeva tra i membri della Commissione preposta a valutare la compatibilità delle sue azioni con il diritto interno.
Poiché l’indagine penale dell’autorità belga non è stata svolta in maniera ragionevolmente celere, ed essendo la disciplina nazionale non sufficientemente idonea ad assicurare la fondamentale indipendenza della Commission fédérale, la Corte EDU dichiara la violazione dell’art. 2 CEDU.
Per quanto concerne la lamentata violazione dell’art. 8, risulta necessario soppesare l’interesse del figlio ad essere informato dell’intenzione della madre di ricorrere all’eutanasia, e la volontà della donna che più volte ha rifiutato di contattare i suoi figli. Qualora il paziente non voglia comunicare ai suoi cari la decisione di ricorrere all’eutanasia, la legge belga impone al medico curante di rispettare tale volontà, a salvaguardia del diritto alla riservatezza delle informazioni mediche personali e del rapporto di fiducia che si instaura tra medico e paziente.
Tenendo in considerazione che, nel caso di specie la madre aveva tentato di contattare il ricorrente, il quale non ha mai risposto, e che il legislatore nazionale ha comunque operato un corretto bilanciamento dei diversi interessi in gioco, la Corte EDU statuisce che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 8 CEDU.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.