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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - P e S v. Polonia: condizioni d'accesso all'interruzione di gravidanza
30 ottobre 2012

La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha rilevato una doppia violazione dell'art. 8 CEDU da parte della Polonia, con riguardo alla determinazione delle condizioni d'accesso all'interruzione di gravidanza e in relazione alla divulgazione dei dati personali delle ricorrenti. Con riguardo alla sola ricorrente P sono è anche stata rilevata la violazione dell'art. 5, co. 1, e dell'art. 3 CEDU.

Numero
ric. n. 57375/08
Anno
2012

P, quattordicenne all'epoca dei fatti, rimane incinta in seguito ad uno stupro e si reca presso un ospedale pubblico insieme alla madre S per ottenere il certificato, previsto dall'art. 4 della legge polacca sull'aborto (Law on Family Planning (Protection of the Human Foetus and Conditions Permitting Pregnancy Termination) 1993), che attesti che la gravidanza della minore è la conseguenza di uno stupro. Madre e figlia sono entrambe concordi nel richiedere all'ospedale di Lublin, presso il quale si erano recate, di interrompere la gravidanza. A causa del temporeggiare del personale della struttura sanitaria e delle resistenze incontrate, le due decidono di recarsi a Varsavia; nel frattempo il caso diventa di pubblico dominio a causa di un comunicato stampa dell'ospedale stesso. Nemmeno a Varsavia, nonostante il ricovero di P in un ospedale che si era reso disponibile ad eseguire l'intervento, questo è possibile: numerose persone si recano presso la struttura per fare pressione affinché l'aborto non sia effettuato; alcuni di loro entrano in contatto con P.

Nel frattempo P, con i genitori, lascia l'ospedale di Varsavia; i tre vengono raggiunti dalla polizia e apprendono che il tribunale di Lublin ha ristretto la patria potestà di S e P viene affidata a un centro di accoglimento per minori.

Riportiamo una sintesi della decisione (il .pdf completo è disponibile del box download – fonte: HUDOC).

P e S presentano ricorso alla Corte di Strasburgo per violazione dell'art. 8 CEDU da parte della Polonia per la mancanza di chiarezza del quadro normativo relativo all'interruzione volontaria di gravidanza e per l'irragionevole intromissione delle autorità statali nella sfera privata di entrambe. Riprendendo i principi già espressi in Tysiąc v. Poland e in A, B and C v. Ireland, la Corte rileva che l'art. 8 impone anche delle obbligazioni positive in capo allo Stato e che, pur non fondando un diritto all'aborto, tale articolo impone che il quadro normativo statale sia costruito in modo coerente. La legge polacca del 1993 prevede alcune limitate ipotesi in cui è possibile accedere all'interruzione volontaria di gravidanza, ma non prevede nessuna procedura effettiva per determinare se tali circostanze siano soddisfatte oppure no: «The Court is of the view that effective access to reliable information on the conditions for the availability of lawful abortion, and the relevant procedures to be followed, is directly relevant for the exercise of personal autonomy. It reiterates that the notion of private life within the meaning of Article 8 applies both to decisions to become and not to become a parent. The nature of the issues involved in a woman’s decision to terminate a pregnancy or not is such that the time factor is of critical importance. The procedures in place should therefore ensure that such decisions are taken in good time. The uncertainty which arose in the present case despite a background of circumstances in which under Article 4 (a) 1.5 of the 1993 Family Planning Act there was a right to lawful abortion resulted in a striking discordance between the theoretical right to such an abortion on the grounds referred to in that provision and the reality of its practical implementation».

P e S lamentano anche una violazione dell'art. 8 da parte della Polonia per la mancata protezione della loro riservatezza e dei loro dati personali, poiché il caso divenne di pubblico dominio e, senza che le loro identità rimanessero riservate, esso divenne oggetto di dibattiti pubblici. La Corte rileva la violazione dell'art. 8, mancando la base legale per l'interferenza dei pubblici poteri nella vita privata e familiare delle ricorrenti: «The national law expressly recognised the rights of patients to have their medical data protected, and imposed on health professionals an obligation to abstain from disclosing information about their patients’ conditions. Likewise, the second applicant was entitled to the protection of information concerning her family life. Yet, despite this obligation, the Lublin hospital made information concerning the present case available to the press. 135.In the light of the foregoing considerations, the Court considers that the disclosure of information about the applicants’ case was neither lawful nor served a legitimate interest».

Il ricorso si basa anche sulla violazione dell'art. 5 CEDU (libertà pesonale) poiché P è stata privata della custodia della madre e portata in un certo d'accoglienza per minori. La Corte accoglie anche sotto questo profilo il ricorso: «The Court is of the view that by no stretch of the imagination can the detention be considered to have been ordered for educational supervision within the meaning of Article 5 § 1 (d) of the Convention if its essential purpose was to prevent a minor from having recourse to abortion. Furthermore, the Court is of the opinion that if the authorities were concerned that an abortion would be carried out against the first applicant’s will, less drastic measures than locking up a 14 year old girl in a situation of considerable vulnerability should have at least been considered by the courts. It has not been shown that this was indeed the case».

Viene, infine, rilevata anche una violazione dell'art. 3 CEDU: secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, per aversi una violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti è necessario che questi raggiungano un livello minimo di gravità. La soglia di tale gravità va valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete della fattispecie al vaglio della Corte. Nel caso in esame, considerato che P era solo quattordicenne all'epoca dei fatti, i giudici rilevano che vi sia stata violazione dell'art. 3 CEDU.

Pubblicato il: Martedì, 30 Ottobre 2012 - Ultima modifica: Lunedì, 03 Giugno 2019
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