Con la sentenza n. 103 del 23 maggio 2018, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione con cui viene fissata l’estensione del contributo fino al 2020 a carico delle Regioni ordinarie di 750 milioni di euro (già previsto dal primo periodo dell’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66).
Corte costituzionale - sent. 103/2018: incostituzionale il raddoppio della durata della manovra di finanza pubblica a scapito del Servizio Sanitario Nazionale
7 marzo 2018
La Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi regionali che avevano ad oggetto l’art. 1, commi 392 e 527, della legge n. 232/2016 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
Tali censure vanno distinte in quanto gli esiti a cui giunge la Corte sono differenti. Essa dichiara infatti l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, della legge n. 232/2016 solo circa le parole «al primo e», ma «dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 392, della legge n. 232/2016, promosse, in riferimento gli artt. 97, 118 e 119 della Costituzione, nonché in riferimento all’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e all’art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla Regione Veneto».
La Corte, infatti, non esclude che le norme statali fissino i limiti di spesa delle Regioni e degli enti locali, ma tale contenimento di spesa deve essere transitorio. È proprio la temporaneità l’argomento a favore dell’incostituzionalità della norma richiamata e che consente di considerare sia le scansioni temporali dei cicli di bilancio sia la situazione economica del Paese. La Corte richiama infatti la sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2017, la quale «dopo aver enucleato la nozione di “spesa costituzionalmente necessaria” in riferimento a quella destinata a finanziare il diritto sociale alla salute, avrebbe posto il principio di leale collaborazione “al centro della corretta determinazione delle risorse necessarie a tale fine”, allo scopo di garantire l’effettiva programmabilità e la reale copertura finanziaria dei servizi. Tale leale collaborazione sarebbe del tutto difettata, anche in considerazione del mancato rinnovo del «tradizionale Patto della Salute”».
Lo Stato, inoltre, è tenuto a stabilire, di volta in volta, le relazioni finanziarie con le Regioni e gli enti locali. Ciò viene previsto a garanzia del dibattito parlamentare sulle operazioni di finanza pubblica (nel caso di specie 750 milioni di euro a carico delle Regioni ordinarie fino al 2020).
La Corte Costituzionale ha precisato come l’imposizione a carico delle Regioni di contributi di finanza pubblica comporti un’inevitabile ricaduta sul finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale con il rischio di non riuscire ad assicurare il rispetto dei LEA (livelli essenziali di assistenza) fissati dallo Stato. Lo Stato è infatti tenuto ad evitare tale rischio, anche con il recupero di risorse da altri ambiti rispetto a quelli riguardanti la spesa regionale. Ciò a tutela del diritto alla salute previsto e garantito dall’art. 32 della Costituzione.
In particolare, la Regione Veneto sottolinea che la diminuzione dei finanziamenti destinati a soddisfare il fabbisogno sanitario nazionale è stata disposta senza una previa nuova intesa con le Regioni (a partire dagli anni 2000 sussiste infatti la prassi dei “Patti di salute”). Questo motivo di ricorso viene dichiarato non fondato dalla Corte costituzionale in quanto, nonostante il fabbisogno sanitario nazionale sia stabilito mediante intesa, tale principio non vincola in modo assoluto le leggi approvate successivamente dalle due Camere. Le Regioni, inoltre, hanno un ampio margine di manovra per organizzare e disciplinare i servizi sanitari.
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le censure sollevate dalle Regioni a statuto speciale (Valle D’Aosta, Province Autonome di Trento e di Bolzano, Sardegna, Friuli-Venezia-Giulia, Sicilia) su alcune disposizioni della medesima legge di bilancio, la quale gravava tali Regioni di un contributo per il recupero del settore sanitario, in cui esse godono di un’autonomia finanziaria (senza previsione di oneri a carico del bilancio statale).
La Corte costituzionale ha precisato che le disposizioni censurate dalle Regioni a statuto speciale imponevano un contributo che era però giustificato ai fini del risanamento della finanza pubblica. La determinazione di tali contributi è subordinata alla conclusione di accordi bilaterali con lo Stato, che nel caso in questione non erano stati stipulati dalle autonomie speciali. Ciò ha condotto la Corte costituzionale a ritenere il comportamento delle Regioni a statuto speciale omissivo e non rispettoso del principio di leale collaborazione. La mancata stipula degli accordi, infatti ha causato una riduzione ancora maggiore del fabbisogno sanitario nazionale, dal momento che le Regioni a statuto ordinario hanno dovuto subire un maggiore contributo per il risanamento della finanza pubblica alla base della manovra di bilancio.
Il testo della sentenza è disponibile nel box download e a questo link .