Con sentenza n. 5/2018, la Corte costituzionale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale della normativa che ha ampliato il numero di vaccinazioni obbligatorie (d.l. n. 73/2017 - Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale e successive modificazioni introdotte in sede di conversione con legge n. 119/2017).
Corte costituzionale - sent. 5/2018: non irragionevolezza dell’intervento normativo che ha esteso a 10 il novero delle vaccinazioni obbligatorie in Italia
18 gennaio 2018
La Corte ha riunito i giudizi, nati da due ricorsi promossi dalla Regione Veneto (r.r. n. 51 del 2017 e r.r. n. 75 del 2017) e ha, in estrema sintesi, ritenuto non irragionevole l’intervento normativo, considerato lo stato attuale delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche.
Si propone una sintesi dettagliata dei contenuti della decisione.
MOTIVI DI RICORSO
PRIMO MOTIVO DI RICORSO
Violazione art. 77 in combinato disposto con gli artt. 117, co. 3 e 4 e 118.
Secondo la Regione, non sussisterebbero i presupposti per la decretazione d’urgenza: il decreto-legge sarebbe stato emanato in assenza di una reale emergenza sanitaria che giustificasse l’intervento del Governo.
La violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. si ripercuoterebbe sulle attribuzioni regionali, di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., segnatamente in materia di tutela della salute e di istruzione.
La ricorrente lamenta che il carattere dettagliato delle norme censurate impedirebbe di qualificarle come principi fondamentali in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.); inoltre, sarebbero violate le competenze regionali in materia di «istruzione» e di «formazione professionale» (art. 117, terzo e quarto comma, Cost.), nonché l’autonomia amministrativa della Regione (art. 118 Cost.).
SECONDO MOTIVO DI RICORSO
Violazione artt. 2, 3, 32 Cost.
Il legislatore non avrebbe bilanciato in modo equilibrato, conformemente al principio di proporzionalità, la tutela della salute, collettiva e individuale, e l’autodeterminazione personale in materia sanitaria, garantita da una pluralità di norme costituzionali, sovranazionali e internazionali.
Secondo la ricorrente, le norme censurate sarebbero inidonee o eccessive rispetto agli obiettivi di tutela della salute pubblica perseguiti e introdurrebbero misure più severe di quelle che sarebbero strettamente necessarie.
La mancata valutazione, previa e accurata, della situazione epidemiologica avrebbe inoltre determinato una violazione del principio di precauzione.
Violazione artt. 97, 31, 32, 34 Cost.
La nuova normativa andrebbe a compromettere il buon andamento dell’amministrazione regionale e, in particolare, la capacità di quest’ultima di erogare servizi sanitari ed educativi, nonché di governare la programmazione scolastica.
Violazione art. 5 Cost,
La nuova normativa, imponendosi come uniforme, mancherebbe di considerare la più equilibrata ed efficiente attuazione dei principi costituzionali già conseguita in lcune realtà regionali.
TERZO MOTIVO DI RICORSO
Violazione artt. 81, co. 3 e 119, co. 1 e 4
Il motivo di ricorso è legato alla mancata copertura dei maggiori oneri finanziari connessi alle vaccinazioni divenute obbligatorie e agli adempimenti conseguentemente posti a carico delle amministrazioni regionali.
In particolare alcune nuove disposizioni violerebbero l’art. 81, terzo comma, Cost., con ridondanza sull’autonomia finanziaria regionale garantita dall’art. 119, primo e quarto comma, Cost., i quali sarebbero anche violati in via diretta, in quanto le norme oggetto della censura imporrebbero spese e responsabilità nuove alle amministrazioni sanitarie e alle istituzioni scolastiche ed educative, senza che sia stato previsto, né ovviamente coperto, alcun maggiore onere finanziario, essendosi al contrario introdotta (al comma 2 del censurato art. 7) una clausola di invarianza o neutralità finanziaria.
PREMESSA
La Corte riunisce i giudizi, ripercorre la situazione normativa vigente in Italia prima dell’introduzione del d.l. n. 73/2017 e passa in rassegna i contenuti del decreto stesso, prima e dopo la conversione disposta dalla legge n. 119 del 2017.
Dal punto di vista delle circostanze, la Corte rileva una recente tendenza al calo delle coperture vaccinali.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
In via generale, la Corte dichiara l’ammissibilità delle questioni sollevate (con l’eccezione di questioni relative ai compiti della Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza).
La Corte riconosce la possibilità per le regioni ricorrenti di evocare anche parametri estranei al titolo V, quando le violazioni denunciate siano potenzialmente idonee a ripercuotersi sulle attribuzioni costituzionali delle regioni.
Secondo la Corte, i requisiti di ammissibilità sono soddisfatti perché, pur diffondendosi la Regione in argomenti incentrati su diritti individuali, essa ha chiaramente ha rappresentato i condizionamenti che l’autonomia legislativa e amministrativa regionale subirebbe a causa dalle scelte imposte dalle nuove norme statali.
La Corte ritiene cessata la materia del contendere in relazione ad alcune disposizioni impugnate, per effetto delle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 119 del 2017 (art. 1, commi 4 e 5, del d.l. n. 73 del 2017, per effetto delle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 119 del 2017).
NEL MERITO
1. Le questioni sollevate in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. non sono fondate: solo l’evidente insussistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere determina tanto un vizio del decreto-legge, quanto un vizio in procedendo della legge che ne disponga la conversione. La Regione avrebbe effettuato una indebita sovrapposizione concettuale tra urgenza del provvedere ed emergenza sanitaria.
Alla luce di una pluralità di indici intrinseci ed estrinseci (titolo, preambolo, contenuto e ratio del decreto-legge, relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, lavori parlamentari ) e in considerazione del contesto in cui si inserisce il d.l. n. 73/2017 (caratterizzato, tra l'altro, da una tendenza al calo delle coperture vaccinali), la Corte non ritiene che «il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost., nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge in materia».
«A fronte di una copertura vaccinale insoddisfacente nel presente e incline alla criticità nel futuro, questa Corte ritiene che rientri nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, alla luce dei nuovi dati e dei fenomeni epidemiologici frattanto emersi, anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione».
«la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito».
2. Le questioni sollevate in relazione alle garanzie costituzionali dell’autonomia legislativa e amministrativa regionale sono in parte inammissibili e in parte non fondate.
- artt. 5 e 118 Cost.: questioni inammissibili per carenza e genericità della motivazione.
- art. 117, co. 3 e 4: questioni infondate perché, nonostante la pluralità di materie coinvolte (alcune anche di competenza regionale) debbono ritenersi chiaramente prevalenti i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato (principi fondamentali in materia di tutela della salute, livelli essenziali di assistenza, profilassi internazionale e norme generali sull’istruzione.)
«Dinanzi a un intervento fondato su tali e tanti titoli di competenza legislativa dello Stato, le attribuzioni regionali recedono, dovendosi peraltro rilevare che esse continuano a trovare spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni».
Pertanto, in questo ambito, ragioni logiche (misure omogenee necessarie per realizzare l’obiettivo dell’immunità di gregge), prima che giuridiche, «rendono necessario un intervento del legislatore statale e le Regioni sono vincolate a rispettare ogni previsione contenuta nella normativa statale, incluse quelle che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pongono in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con i principi di settore».
3. Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost. sono inammissibili, per carenza assoluta di motivazione. Non è, infatti, spiegato come e in quale misura il cambiamento dovuto alla nuova normativa rischierebbe di compromettere l’efficienza dei servizi sanitari, scolastici ed educativi, «come apoditticamente affermato nei ricorsi».
4. Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost. non sono fondate. La Corte considera l’evoluzione della legislazione italiana in tema di vaccinazioni, che ha registrato, nel tempo, il susseguirsi di politiche vaccinali di vario segno, più favorevoli, alternativamente, all’obbligo o alla raccomandazione. L’intervento del legislatore, alla luce del contesto epidemiologico descritto, non può essere censurato sul piano della ragionevolezza, per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti.
«la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino […]»
Il contemperamento di questi molteplici principi «lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive»
Tale discrezionalità« deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia».
La legge non avrebbe repentinamente introdotto dal nulla l’imposizione di un ampio numero di vaccinazioni, ma avrebbe innovato il titolo giuridico in nome del quale alcune vaccinazioni sono somministrate, rendendo obbligatorio un certo numero di vaccinazioni, già raccomandate.
La Corte fa riferimento a due ordini di considerazioni al fine di apprezzare l’intensità del cambiamento da raccomandazione a obbligo:
- nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici.
- il legislatore in sede di conversione ha ritenuto di dover preservare un adeguato spazio per un rapporto con i cittadini basato sull’informazione, sul confronto e sulla persuasione.
Nulla esclude che, mutate le condizioni, la scelta possa essere rivalutata e riconsiderata.
La Corte evidenzia come il legislatore abbia «opportunamente introdotto in sede di conversione un sistema di monitoraggio periodico che può sfociare nella cessazione della obbligatorietà di alcuni vaccini» per quattro dei dieci vaccini imposta e sollecita l’estensione di tale «strumento di flessibilizzazione» agli altri.
4. Le questioni che lamentano la violazione diretta dell’art. 119, primo e quarto comma, Cost. sono inammissibili in quanto apoditticamente indirizzate «all’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle Regioni per l’erogazione dei servizi sanitari, senza riferimenti a dati più analitici alle entrate e alle uscite relative».
Quanto all’asserita violazione dell’art. 81, co. 3 Cost., la Corte ritiene che la clausola di invarianza finanziaria, nel breve periodo e tenuto conto della necessità dell’immediato intervento, non sia implausibile.
Nel box download il testo della sentenza.