Nel giudizio di legittimità costituzionale di una disposizione della legge sulle adozioni, la Corte ha sancito l'illegittimità costituzionale parziale dell'art. 28, co. 7, della l. n. 184/1983, nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare la persona adottata all’accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non volere essere nominata da parte della madre biologica.
Corte costituzionale - sent. n. 278/2013: accesso dell'adottato alle informazioni sull'identità della madre biologica
18 novembre 2013
Pubblichiamo di seguito i passaggi principali della sentenza; il testo completo è disponibile nel box download (www.cortecostituzionale.it)
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale per i minorenni di Catanzaro, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione.
Una donna, nata nel 1963 e adottata nel 1969, era venuta a conoscenza della sua adozione soltanto in occasione della procedura di separazione e divorzio dal marito; l'ignoranza delle sue origini le aveva cagionato vari condizionamenti anche di ordine sanitario, limitando le possibilità di diagnosi e cura per patologie (nodulo al seno e disturbi ricollegabili forse ad una menopausa precoce) che avrebbero dovuto comportare una anamnesi di tipo familiare.
La ricorrente chiedeva di conoscere le generalità della madre naturale. Il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole. Il Tribunale, però, rilevava che, a fronte della possibilità riconosciuta all’adottato che abbia compiuto i 25 anni di accedere ad informazioni riguardanti i propri genitori biologici, previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni, tale possibilità era invece esclusa dalla disposizione impugnata, ove le informazioni si riferiscano alla madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata.
Secondo il giudice a quo, la disposizione denunciata contrasterebbe con l’art. 2 della Costituzione, configurando «una violazione del diritto di ricerca delle proprie origini e dunque del diritto all’identità personale dell’adottato»; con l’art. 3 Cost., in riferimento all’«irragionevole disparità di trattamento fra l’adottato nato da donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata e l’adottato figlio di genitori che non abbiano reso alcuna dichiarazione e abbiano anzi subìto l’adozione»; con l’art. 32 Cost., in ragione dell’impossibilità, per il figlio, di ottenere dati relativi all’anamnesi familiare, anche in relazione al rischio genetico; con l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 25 settembre 2012 nel caso Godelli contro Italia, la quale ha dichiarato che la normativa italiana rilevante violi il predetto art. 8 della Convenzione, non adeguatamente bilanciando fra loro gli interessi delle parti contrapposte.
Nella precedente sentenza n. 425/2005, la Corte affermò che la finalità della norma fosse quella di assicurare, da un lato, che il parto avvenisse nelle condizioni ottimali tanto per la madre che per il figlio, e, dall’altro lato, di «distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi».L'irrevocabilità degli effetti della scelta dell'anonimato della madre venne spiegata secondo una logica di rafforzamento dei corrispondenti obiettivi, escludendo che la decisione per l’anonimato potesse comportare, per la madre, «il rischio di essere, in un imprecisato futuro e su richiesta del figlio mai conosciuto e già adulto, interpellata dall’autorità giudiziaria per decidere se confermare o revocare quella lontana dichiarazione di volontà».
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte rileva che la scelta per l’anonimato legittimamente impedisce l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, ma non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”.
La disciplina è quindi censurabile per la sua eccessiva rigidità. Secondo la Corte è evidente che l’apparente, quanto significativa, genericità, o elasticità, della formula «opportune cautele» sconta l’ovvia difficoltà di determinare con esattezza astratte regole dirette a soddisfare esigenze di segretezza variabili in ragione delle singole situazioni concrete. Altrettanto meritevole di tutela è la garanzia del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico.
Il vulnus è, dunque, rappresentato dalla irreversibilità del segreto. La quale, risultando, per le ragioni anzidette, in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., deve conseguentemente essere rimossa.
Sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto.