Il Tribunale di Roma, con sentenza del 10 maggio 2016, ha rigettato la domanda di una coppia di persone che chiedevano di essere dichiarati genitori genetici di due bambini nati a seguito di uno scambio di embrioni nel corso di una PMA.
Tribunale di Roma - sent. 10 maggio 2016: scambio embrioni al Pertini ed impossibilità di dichiarare la genitorialità genetica
10 maggio 2016
La vicenda, ormai nota, riguarda la nascita di due gemelli grazie alla PMA durante la quale avveniva, per errore umano, uno scambio di embrioni, impiantati in una donna diversa da quella della coppia i cui gameti erano stati utilizzati. Alla nascita, in conformità con la normativa italiana in materia, veniva dichiarata madre colei che aveva partorito i bambini e padre il marito della stessa. I coniugi a cui appartenevano gli embrioni rivendicavano il proprio legame genetico proponendo domanda di disconoscimento di paternità e maternità, successivamente precisata in una richiesta di vedersi riconoscere la qualifica di padre e madre genetici, e chiedendo l’intervento della Corte costituzionale per modificare le norme attualmente esistenti che negano loro tale diritto.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 29 aprile 2016, ha rigettato la domanda osservando, innanzitutto, che la richiesta di una mera dichiarazione della qualità di genitori genetici in capo agli attori e di contemporanea negazione di tale attributo in capo all’altra coppia, se intesa in senso letterale, farebbe cadere lo stesso interesse all’emissione di una pronuncia. Infatti, si tratterebbe di un’affermazione di una realtà - il legame genetico tra i due gemelli e la coppia - per un verso pacifica, per altro verso priva di effetti sostanziali sulla base del diritto vigente, che, appunto, non contempla alcuna possibilità di frazionamento della genitorialità.
Il sistema normativo nazionale ed internazionale tende ad enfatizzare, quale criterio ermeneutico, la stabilità della relazione umana e familiare costituita attraverso la gestazione, il parto e l’inserimento dei nati in un preciso nucleo familiare, così imponendo di risolvere il conflitto tra le due coppie in favore dei convenuti. Ciò risulta in particolare:
- dalle disposizioni codicistiche, sulla base delle quali madre è colei che ha portato a termine la gravidanza, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 269 comma 3 c.c. e, con riguardo alla paternità, l’art. 231 c.c. vale a ricomprendere nella presunzione di paternità anche i figli che, comunque concepiti, anche a mezzo di procreazione medicalmente assistita e di fecondazione eterologa, siano nati nel matrimonio; d’altro canto, l’articolo 243-bis c.c. non conferisce alcuna legittimazione al genitore genetico ai fini della proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità, legittimazione tuttora riservata al padre, alla madre e al figli medesimo; ancora, gli stessi articoli 239 e 240 c.c. in tema di supposizione di parto o sostituzione di neonato sono volti a tutelare la verità biologica della maternità della donna che ha partorito, in ipotesi di scambio di neonati ovvero di costituzione di uno stato di filiazione in relazione a donna diversa dalla partoriente;
- dalle disposizioni della legge 40 del 19 febbraio 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita e nello specifico dall’articolo 8, il quale riconosce, quale elemento decisivo ai fini dell’acquisto dello stato di filiazione per i nati da tecniche di PMA, l’impianto nell’utero materno, il procedere della gravidanza e la nascita, sottolineando in questo modo il valore decisivo della gestazione stessa; inoltre l’articolo 9, da una parte, indica quale madre cui è precluso il diritto all’anonimato la donna che ha partorito, così confermando che nell’impianto della legge è mantenuto fermo il legame tra parto ed identificazione della madre, pur in un contesto scientifico che ormai rende scindibili le figure della madre genetica e di quella uterina; dall’altra parte lo stesso articolo 9 preclude espressamente a colui che abbia prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita di procedere al disconoscimento di paternità, come pure all’uomo che abbia messo a disposizione i propri gameti, di acquisire alcuna relazione giuridica parentale con il nato e di far valere nei suoi confronti alcun diritto;
- dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte Costituzionale che ha caducato il divieto di fecondazione eterologa, enfatizzando ancora una volta la rilevanza della gestazione nella filiazione;
- dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU, dalla quale emerge chiaramente come la Corte abbia sempre conferito valore determinante all’inserimento di fatto dei bambini in un determinato contesto familiare, persino ove detto contesto abbia preso avvio da comportamenti apertamente lesivi di principi di ordine pubblico (v. sentenza Paradiso-Campanelli c. Italia, 27.1.2015, ric. 25358/2012).
Gli attori, proprio con riferimento a tale assetto normativo, chiedevano venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 243-bis c.c. nella parte in cui non prevede la legittimazione del cd. padre genetico a proporre 1’azione di disconoscimento della paternità in caso di sostituzione di embrioni avvenuta nell’ambito di una procedura di fecondazione assistita, e a sua volta auspicavano che analoga questione venisse sollevata con riguardo all’articolo 269 comma 3 c.c. nella parte in cui non prevede, nel caso di sostituzione di embrione avvenuto nell’ambito della procedura di fecondazione medicalmente assistita, la possibilità di effettuare il disconoscimento di maternità; in entrambi i casi per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 30 Cost. e con l’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 8 CEDU. Si noti, dunque, che il riconoscimento della coppia attorea quali genitori genetici dei due gemelli avrebbe presupposto la rimozione dell’attuale stato di figli dei convenuti in capo ai due minori, e comportato la possibilità per il padre di accedere ad un’azione – disconoscimento di paternità – che non lo vede tra i legittimati, e per la madre di sperimentare un’azione – disconoscimento di maternità – che l’ordinamento non contempla affatto.
Il Tribunale, tuttavia, non ritiene ravvisabili gli estremi per sollecitare un intervento additivo della Corte costituzionale, intervento che, tra l’altro, riguardo alla posizione della madre dovrebbe giungere addirittura ad inserire nel tessuto normativo un istituto oggi inesistente. In altre parole, il rilievo conferito dall’ordinamento nazionale e sovranazionale al rispetto della dimensione familiare e dei legami affettivi primari che ivi si consolidano nel tempo determina una prevalenza sul piano costituzionale dei legami naturali, biologici e sociali.
La tutela di ulteriori valori di rango primario, quali la dignità umana, la salute e l’autodeterminazione della gestante, si pone anch’essa in evidente conflitto con la tesi della prevalenza delle origini genetiche sul legame biologico creato dalla gestazione, sia nella prospettiva dell’imposizione di una continuazione forzata della gravidanza destinata a concludersi con la separazione dai minori dopo la nascita, sia in quella, diversa ma non meno contraddittoria, della conservazione del diritto della gestante ad autodeterminarsi nella fase della gravidanza ancora utile per l’interruzione ai sensi della legge 194 del 1978.
In conclusione, la domanda degli attori viene rigettata perché:
- le disposizioni normative in tema di filiazione e PMA impongono lo status dei minori di figli degli odierni convenuti,
- perché difettano i presupposti per porre la questione al vaglio delle Corte Costituzionale,
- perché, infine, si è di fronte a richieste volte ad un’alterazione della realtà familiare dei minori contraria al loro interesse, che incontra perciò un ostacolo insormontabile nel principio del preminente interesse del minore.
Il Tribunale di Roma aveva già avuto occasione di pronunciarsi sulla vicenda rigettando l’istanza con la quale i ricorrenti chiedevano di essere iscritti all’anagrafe come genitori dei neonati (ord. 8 agosto 2014), respingendo in due momenti (ord. 22 aprile 2015 e ord. 2 ottobre 2015) la richiesta di esercitare un’azione di disconoscimento di paternità. La Corte EDU, investita della questione, ha giudicato il ricorso inammissibile (X e Y v. Italy).
Il testo della sentenza è disponibile nel box download.