La Corte Suprema statunitense si è pronunciata sulla legittimità della legge texana HB 2 che regola l’aborto, affermando che i requisiti richiesti alle cliniche abortive e ai medici impongono un onere eccessivo nell’accesso all’interruzione di gravidanza.
US - Supreme Court – Whole Woman's Health v. Hellerstedt: incostituzionalità della legge del Texas sull’aborto
27 giugno 2016
La legge texana del 2013 era stata oggetto di numerose impugnazioni da parte delle associazioni pro choice (cfr. il nostro Dossier Abortion rights negli Stati Uniti), che ne lamentavano l’incostituzionalità per la violazione del XIV emendamento come interpretato dalla Corte Suprema nella sentenza Planned Parenthood v. Casey .
Sono due i profili della legge portati all’attenzione della Corte Suprema:
1. “Admitting privileges requirement”, in base al quale un medico che effettua un intervento di interruzione di gravidanza deve risultare membro dello staff di una struttura ospedaliera distante non più di 30 miglia dalla clinica abortiva ed avere quindi la possibilità di inviare presso la medesima i propri pazienti per trattamenti diagnostici o specialistici.
2. “Surgical-center requirement”, che impone alle cliniche abortive di rispettare i requisiti minimi previsti dalla legge texana per gli ambulatori chirurgici.
Nella propria difesa, lo Stato del Texas sosteneva che tali norme erano state introdotte al fine di garantire la sicurezza e la salute delle donne, in caso di complicazioni collegate all’intervento di interruzione della gravidanza.
Dopo l’entrata in vigore della legge, numerose associazioni ed organizzazioni pro choice avevano presentato un ricorso nel quale contestavano la legittimità dei criteri imposti al personale sanitario e alle cliniche abortive. Nel chiedere la sospensione dell’efficacia della legge, i ricorrenti avevano evidenziato che le nuove norme di legge avrebbero comportato la chiusura di circa la metà delle cliniche abortive del Texas, rendendo più difficile per molte donne l’accesso ai servizi per l’interruzione della gravidanza.
Nel 2014, la US District Court for the Western District of Texas aveva dichiarato incostituzionale la legge, stabilendo che essa impone alle donne un «undue burden» nell’accesso all’interruzione di gravidanza, in violazione del principio di autodeterminazione come interpretato nel caso Casey. Successivamente, però, US Court of Appeals for the Fifth Circuit aveva ribaltato la decisione di primo grado, confermando la costituzionalità della legge. La Corte Suprema, in pendenza della propria decisione, aveva temporaneamente sospeso l’efficacia della legge (tutti i precedenti sono disponibili nel Dossier Abortion Rights).
Dopo aver superato un’eccezione di inammissibilità in base alla quale sulla questione si sarebbe già formato il giudicato (il riferimento è al primo ricorso presentato dopo l’approvazione della legge, caso Abbott), la Corte Suprema entra nel merito della questione ed afferma che sia l’admitting privileges requirement sia il surgical-center requirement «place a substantial obstacle in the path of women seeking a previability abortion, constitute an undue burden on abortion access, and thus violate the Constitution».
Secondo la USSC, nel caso di specie bisogna effettuare un corretto bilanciamento tra le finalità perseguite dalla legge e i limiti che la stessa impone; corretto, in questi termini, era stato il bilanciamento operato dalla District Court, che si era affidata alle prove documentali portate in giudizio e all’audizione di esperti. Il requisito degli admitting privileges impone un «undue burden» che condiziona nella sostanza le scelte delle donne e che, quindi, incide negativamente sul loro diritto all’autodeterminazione. La finalità che dichiaratamente la legge si prefiggeva di perseguire per mezzo di tale requisito è quella di garantire la sicurezza e la salute delle donne in caso di complicazione successive all’intervento; tuttavia, le relazioni delle principali società medico-scientifiche portate in giudizio dimostrano che le percentuali di insorgenza di complicazioni per questo tipo di interventi sono talmente basse da rendere sproporzionato l’obbligo imposto dalla legge. Al contrario, esso – imponendo la chiusura di tutte le cliniche che non rispettano i parametri previsti – rende per le donne l’accesso all’aborto più difficoltoso e impone, quindi, un onere eccessivo all’esercizio della libertà di autodeterminazione.
Anche la necessità di rispettare i criteri previsti per gli ambulatori chirurgici comporta un vantaggio per la tutela della salute delle donne inferiore rispetto agli ostacoli che le stesse incontrano nell’avere accesso ai servizi per l’interruzione di gravidanza e viola i loro diritti costituzionali.
La sentenza, redatta dal giudice Breyer, è stata decisa con una maggioranza 5-3 e si completa con l’opinione concorrente della Giudice Ginsburg e con le dissenting opinion dei Giudici Thomas e Alito (con l’adesione del Chief Justice Roberts).
A questo link il Dossier Abortion Rights negli USA, con tutte le principali novità legislative e giurisprudenziali sull’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti.
In commento alla decisione: Lucia Busatta, Effettività dei diritti e dati scientifici: verso una nuova era dell’abortion rights adjudication negli Stati Uniti