Questa sezione raccoglie decisioni rese da diverse giurisdizioni, nazionali, europee e internazionali, sulle tematiche del biodiritto.
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Questa sezione raccoglie decisioni rese da diverse giurisdizioni, nazionali, europee e internazionali, sulle tematiche del biodiritto.
Nella causa C-158/96, la Corte di Giustizia, pronunciandosi su una questione pregiudiziale relativa al rimborso di spese medico-dentistiche ricevute in un altro Stato membro, ha affermato che gli artt. 59 e 60 del Trattato ostano a una normativa nazionale che subordina all'autorizzazione dell'ente previdenziale dell'assicurato il rimborso (secondo le tariffe dello Stato d'iscrizione) delle prestazioni di cure dentarie fornite da un ortodontista stabilito in un altro Stato membro.
Con sentenza C-239 del 1997 la Corte costituzionale colombiana ha dichiarato la non applicabilità della norma del codice penale che punisce l’“homicidio por piedad” al medico che ponga fine all’esistenza di un malato terminale, in condizioni di grave sofferenza, che abbia manifestato una chiara volontà in tal senso.
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha rilevato la violazione dell'articolo 3 CEDU da parte del Regno Unito, per il provvedimento di espulsione adottato nei confronti di un detenuto sieropositivo, malato di AIDS allo stadio terminale, che nel Paese d'origine non avrebbe avuto accesso alle terapie già intraprese (ric. n. 30240/96).
Il 30 settembre 1993, con una decisione adottata 5 voti a 4, la Corte Suprema Canadese ha confermato la costituzionalità dell'articolo del codice penale che punisce il reato di suicidio assistito. Il caso ha origine dal ricorso presentato dall'allora quarantaduenne Sue Rodriguez, affetta da una forma di SLA, contro l'articolo 241(b) del codice penale per violazione di alcuni dei diritti fondamentali garantiti dalla Canadian Charter of Rights and Freedoms.
Nel c.d. Tony Bland case (Airedale NHS Trust v Bland, [1993] 1 All ER 821 HL) la High Court di Londra si è pronunciata sull’interruzione dei trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale nei confronti di un ragazzo in stato vegetativo a causa dei gravissimi danni cerebrali subiti quattro anni prima nel disastro dello stadio Hillsborough. La Corte considerò tali trattamenti come terapie mediche e, riconoscendo l’esistenza di un generale right to refuse medical treatments e l’inutilità di un prolungato accanimento terapeutico, ne permise l’interruzione.
In data 29 giugno 1992, la Supreme Court ha stabilito l’incostituzionalità parziale di una legge che richiedeva ad una donna sposata di notificare il coniuge prima di accedere all’IVG.
La Corte Suprema della California afferma che, nel caso in cui ricercatori impieghino materiale biologico ottenuto nel corso di operazioni chirurgiche per il perseguimento di finalità di ricerca e ottengano benefici di tipo economico da brevetti da esso derivati, il paziente non possa esercitare azioni di tipo proprietario, ma piuttosto lamentare eventuali violazioni del rapporto di fiducia intercorrente con il medico e delle procedure di consenso informato.
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, a fronte delle richieste dei tutori di una ragazza posta in condizione di “stato vegetativo permanente” (ovvero in condizione clinica di non consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, e pertanto giuridicamente incapace di assumere le decisioni che la riguardassero, comprese quelle relative al suo stato di salute) di interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiali somministrate alla stessa, sulla base della sua presunta volontà di rifiuto ai trattamenti, ha respinto il ricorso, ritenendo che, in mancanza di una prova chiara, completa e convincente della rispondenza alla volontà effettiva del soggetto incapace, non sia ammissibile alcun giudizio sostitutivo (substituted judgement) dei tutori.
Il caso riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, prima dell’emanazione della legge n. 194/78.
La questione di costituzionalità si riferiva in particolare all’art. 546 del codice penale nella parte in cui puniva chi cagionasse l’aborto di una donna consenziente anche qualora fosse stata accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico o per l’equilibrio psichico della gestante, senza che ricorressero gli estremi dello stato di necessità.
In Roe v. Wade, Norma L. McCorvey, utilizzando a tutela della propria privacy lo pseudonimo di Jane Roe, sollevò la questione di legittimità costituzionale della legge texana che vietava l’aborto, salvo il caso in cui esso venisse praticato “by medical advice for the purpose of saving the life of the mother”.